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Pazzo d’arteCeramica rinascimentale

Mostre "Il collezionista di meraviglie". A Palazzo Madama di Torino, il tesoro di Alexander Basilewsky

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 13 luglio 2013

Seduto in poltrona al fondo di un salone, un uomo legge il giornale. A poca distanza da lui, un cane dorme su un tappeto. Il salone è zeppo di cofanetti intarsiati, ceramiche, crocefissi, statue, mobili, armature, arredi liturgici… La gigantografia, riprodotta da un acquarello su carta di Vasilij Verescagin, Sala della residenza di Alexander Basilewsky a Parigi, 1870, fa da quinta scenografica alla mostra «Il collezionista di Meraviglie, l’Ermitage di Basilewsky», (Palazzo Madama, Torino, fino al 13 ottobre). L’uomo seduto è, infatti, Alexander Petrovic Basilewsky, il re dei collezionisti di opere d’arte europee datate tra il IV e il XV secolo. Gli oggetti sparsi nel salone rispondevano a un suo preciso rifiuto di relegare una collezione dietro le vetrine. E così Rue Blanchard 49, ultima dimora di Basilewsky, appariva a intellettuali, antiquari e collectionneurs che frequentavano la casa, un mondo di capolavori da poter godere in ogni minimo dettaglio.
Ciò che si vede a Palazzo Madama non rappresenta che una minima, seppur sceltissima parte, dell’immenso patrimonio acquistato dallo zar Alessandro III nel 1884 per cinque milioni e mezzo di franchi pagati di tasca propria. Un treno speciale da Parigi a San Pietroburgo trasporterà questo patrimonio destinato a creare la Sezione del Medioevo e del Rinascimento in venti sale dell’Ermitage. Per comprendere appieno il significato della mostra, cui va il merito di aver riportato per la prima volta nel Vecchio Continente 83 pezzi della collezione, occorre raccontare cosa abbia rappresentato Basilewsky nel secolo in cui visse. Un secolo che stava riscoprendo il valore della prima arte cristiana e delle sue successive evoluzioni. Alexander, nato in Ucraina nel 1829, discendeva secondo alcuni da un bisnonno giullare di corte, che fu ricompensato con il dono di una tenuta. Secondo altri, la bisnonna Basilicha ebbe una tresca con un brigante, che poi denunciò, appropriandosi del suo bottino. Di certo, il padre Petr Andreevic era un generale dell’esercito, caduto in disgrazia e per questo trasferitosi a Parigi nel 1850. Famiglia ricca, dunque. Il che permise al giovane rampollo di frequentare l’Università di Mosca e poi di lavorare presso la Cancelleria di Stato.

Decisivo per il suo futuro il passaggio, era il 1860, al Ministero degli Affari Esteri, per il quale ricoprì incarichi diplomatici in India, Cina, a Vienna e infine nella capitale francese. Basilewsky fu anche un grande frequentatore dell’Italia, particolarmente di Firenze, dove soggiornò in vari periodi. I viaggi, l’amicizia parigina con il principe Soltykoff, antesignano dei collezionisti di arte medioevale; il ruolo di consiglieri per le acquisizioni affidato ad Alfred Arcel, futuro direttore del Musée del Cluny, e al critico Edmond Bonnaffé, spinsero Alexander a vendere ciò che aveva acquistato in precedenza nei suoi vagabondaggi esotici, e a iniziare un nuovo cammino.
«Una raccolta di opere nella loro ininterrotta sequenza dai primi saggi dell’arte cristiana delle catacombe fino alle sue ultime manifestazioni nel Rinascimento… Uscendo dal paganesimo nel II secolo e rientrandovi nel XVI, l’arte cristiana aveva raggiunto nel XII secolo la sua maggiore e più alta espressione». Parole di Basilewsky che, da quel momento, partecipò ad aste pubbliche e vendite private, riuscendo a sconfiggere «avversari» qualificati. L’accumulo sempre più sostanzioso di tesori lo indusse a trasferirsi dal 25 di Faubourg Saint Honoré in un palazzotto da lui fatto costruire sull’avenue Trocadéro e nel 1870 in rue Blanchard.
Rimangono sconosciute le ragioni, non certo finanziarie, che lo indussero, poco più che cinquantenne, a decidere di vendere tutto. Scelse anche la Casa d’Aste, Drouot, per un evento che avrebbe richiamato miriadi di collezionisti. Ma il telegramma arrivato dall’intermediario dello zar l’11 novembre 1885, considerate concluso l’affare» spense sul nascere ardori e sogni.

Quattordici anni dopo Basilewsky morirà, e verrà sepolto nel cimitero Père Lachaise. C’è, nella mostra, un filo conduttore sottile ma netto: quello della passione che portò il re dei collezionisti a fare suoi pezzi di infinita bellezza provenienti dalle regioni d’Italia, Francia, Germania, Spagna. Con le eccezioni di una credenza francese quattrocentesca e di un’armatura milanese da torneo della seconda metà del ’500, al di là dei vetri si mostrano oggetti di dimensioni fisiche per lo più modeste. Ciascuno costituisce, appunto, una meraviglia, e immobilizza il visitatore davanti alla lucerna a forma di pesce e alla placca votiva del vescovo Eraclide, IV secolo; al coltello eucaristico forse spagnolo, alla croce processionale, ai reliquari da Limoges e dal Reno, ai cofanetti di Lotaringia e di Francia, tutti del XIII secolo; a un rarissimo esemplare di flabellum tedesco in rame dorato e smalto (XII secolo), ventaglio usato durante le messe per scacciare le mosche dall’altare. Meraviglie tra le meraviglie la Statua reliquario di Santo Stefano, ancora XII secolo, dalla Francia, e il Cristo in croce del 1200 da Limoges. Omnia pro arte era il motto di Basilewsky. Che, sicuramente, gli restò fedele fino in fondo.

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