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Pax M5s sulle commissioni. Ma c’è già aria di maretta

Pax M5s sulle commissioni. Ma c’è già aria di marettaRoberto Fico e Luigi Di Maio

Movimento in Fermento Assemblea dei parlamentari. Di Maio rivendica la linea sulle Ong, ma non mancano i distinguo degli ortodossi

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 22 giugno 2018

All’ordine del giorno dell’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari del Movimento 5 Stelle che si tiene in serata c’è un solo punto: le comunicazioni ai parlamentari del capo politico Luigi Di Maio. Il tutto avviene nella giornata dell’elezione dei presidenti delle commissioni in camera e senato, durante la quale gli scontri interni paiono sopiti. Basta guardare i numeri delle presidenze e osservare gli incastri giallo-verdi sulla mappa degli organismi per capire che il patto di maggioranza con la Lega è operativo a tutto campo. La divisione, già in partenza semplicistica, tra governisti «pragmatici» e dissidenti «ortodossi» è saltata di fronte alla distribuzione di incarichi che è arrivata prima coi ministri, poi coi sottosegretari e adesso con le presidenze di commissione. Esulta ad esempio il deputato Luigi Gallo, considerato tra i più vicini a Roberto Fico, che diventa presidente della commissione cultura. In lizza per la commissione ambiente c’era un’altra voce critica: Paola Nugnes, che anche in questa giornata si distingue dai suoi colleghi invitandoli a non cavalcare i sondaggi e i temi facili come quelli sui migranti. «L’antidoto a tutta questa ignoranza è la cultura», dice Nugnes citando Gino Strada, che a proposito dei migranti in questi giorni non è stato affatto tenero col governo. «Altrimenti – prosegue provocatoriamente Nugnes – per chi non se la sente si possono guardare i sondaggi, adeguarsi e mettersi sulla scia, decidere di intercettare il consenso». La presidenza della commissione è poi andata, ma soltanto al terzo scrutinio, a Vilma Moronese, già vicecapogruppo. Le voci dissonanti si materializzano quando arriva, dalla senatrice Elena Fattori, la richiesta di mettere mano ai regolamenti interni. Adesso che il M5S è al governo, chiedono alcuni eletti, è bene alleviare la concentrazione di potere su Di Maio, al fine di «tenere separata la sfera governativa da quella parlamentare».

DI MAIO, APPENA TORNATO dal Lussemburgo dal Consiglio Ue dei ministri del lavoro, espone le sue ragioni dal pulpito del consesso grillino. È un discorso condiviso, che viene da un leader che ha ancora il vento il poppa. Ma drizzando le antenne si sente anche il brusio dei malumori. Ci sono quelli, davvero appena percepibili, sulla sostanza dei provvedimenti, mentre tutto lo stato maggiore da Danilo Toninelli a Manlio Di Stefano annunciano il polso di ferro contro le Ong. Di Maio rivendica su tutta la linea le mosse di Salvini e Toninelli, traccia un filo che dai valori del M5S conduce alle iniziative di questi giorni: «Sulle Ong siamo stati i primi a denunciare, è un tema che riguarda la legalità, che riguarda i nostri principi», dice ai parlamentari. Tra i quali serpeggiano anche i dubbi, questi più confusi, sulla strategia, legati alla consapevolezza che a partire dal livello comunicativo sia Matteo Salvini a trainare l’azione di governo. Si tratta, insomma, della percezione da parte che la «leale competizione» interna alla maggioranza di cui si era parlato all’indomani dell’insediamento dell’esecutivo stia premiando i concorrenti diretti, per di più grazie a blitzkrieg mediatici e sparate ad effetto, armi finora predilette dai 5 Stelle che adesso appaiono in affanno. Se ne avrà una qualche misura domenica sera, quando arriveranno i dati dalle città al ballottaggio per le elezioni amministrative: il simbolo del Movimento 5 Stelle è rimasto in lizza per il secondo turno soltanto in 7 dei 76 comuni al voto.

ALCUNI SPERANO CHE la quotidiana attività parlamentare possa servire a smorzare l’irruenza dei leghisti. Altri confidano che i provvedimenti anti-corruzione e le misure sociali cui starebbe lavorando Di Maio servano a far guadagnare terreno ai grillini. Per questo Di Maio smentisce che Giovanni Tria stia serrando i cordoni della borsa, lasciando campo libero alle campagne a costo zero di Salvini. «I soldi arriveranno – dice Di Maio tranquillizzando i suoi – Il ministro del tesoro concorda con noi sul fatto che il debito si riduca con reddito di cittadinanza e flat tax e non con l’austerità». Da questi auspici, e dalle contraddizioni che contengono, si capirà quanto filo hanno da tessere i grillini nella trama di governo.

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