A lungo poco propensi alle manifestazioni pubbliche di dissenso, sembra che i cechi, in questi ultimi tempi, stiano frequentando con maggior assiduità le piazze della protesta. Uno degli esempi più recenti è quello sabato 11 marzo, quando migliaia di persone si sono riunite a Praga per dar vita a una dimostrazione avente per slogan “la Repubblica Ceca contro la povertà”.

In quell’occasione i manifestanti, facendo sventolare la bandiera nazionale, hanno chiesto le dimissioni del governo conservatore che accusano di non impegnarsi abbastanza contro l’inflazione.

Torniamo un attimo indietro per provare a ricostruire questa paura della povertà espressa da molti cechi: lo scorso settembre la “giovane repubblica” è risultata essere l’ottavo paese con l’inflazione più alta su trenta economie sviluppate. Il fatto ha avuto un effetto choc per una realtà che aveva attraversato il periodo della transizione con tassi di disoccupazione e inflazione piuttosto bassi. L’estate scorsa è stata significativa dal momento che, secondo l’Ufficio di Statistica Ceco, nei mesi di giugno, luglio e agosto, l’inflazione annuale si è assestata su valori oscillanti fra il 17,2% e il 17,5%. Chiaramente la guerra in Ucraina e l’aumento del costo dell’energia hanno contribuito a creare questo scenario, ma va considerato che già prima del conflitto il paese aveva cominciato a sperimentare rilevanti rincari e difficoltà dovuti, certo, anche alla situazione creata dalla pandemia.

Andiamo avanti: sempre secondo l’Ufficio di Statistica, a gennaio il tasso di inflazione è arrivato al 17,5%; un dato in crescita rispetto al mese precedente, quando il tasso annuo si era avvicinato al 16%. A contribuire in maggior misura all’aumento dell’inflazione sono stati i prezzi della casa e la conclusione di alcune misure concepite dalle autorità contro il caro energia. Oggi la Repubblica Ceca ha un livello di inflazione che supera quello di molti altri paesi europei e il grosso della popolazione è preoccupato.

Quella ceca viene descritta come una delle economie più “prestanti” dell’Europa centro-orientale, però va precisato che la crisi energetica dovuta al conflitto in Ucraina ha sottolineato la forte dipendenza del paese dal gas russo. Questo, come anticipato, ha avuto ripercussioni su tutto il comparto energetico del paese, compresa l’elettricità, e diversi osservatori fanno notare che la forte crescita dei prezzi sta spingendo sempre più famiglie verso una condizione di povertà. Le criticità emerse in questa difficile fase stanno coinvolgendo anche le imprese le quali, pure, devono confrontarsi con il pesante rincaro dell’energia.

Dopo le prime corpose manifestazioni il governo di centro-destra guidato da Petr Fiala aveva in un primo momento accusato i dimostranti di essere manipolati da ambienti filorussi, per poi annunciare nuove misure volte a fissare un tetto al prezzo dell’energia per le famiglie, per i lavoratori autonomi, per le piccole e medie imprese, gli ospedali, le scuole e le istituzioni sociali. In molti, però, hanno reagito con scetticismo alle promesse dell’esecutivo. In questa situazione di disagio il termometro politico segna una crescita notevole dell’estrema destra del partito di estrema destra Libertà e Democrazia Diretta (SPD) di Tomio Okamura.

L’11 marzo scorso, gli ultimi istanti della manifestazione di protesta contro la politica economica del governo, hanno visto protagonisti un gruppo di dimostranti che si è diretto verso il museo nazionale per chiedere che la bandiera ucraina lì esposta, venisse sostituita con quella ceca. A loro avviso l’esecutivo dovrebbe svolgere un ruolo di mediazione fra le parti contendenti e farsi promotore di negoziati di pace. Essi sono a favore di aiuti a Kiev ma solo in ambito umanitario e non in termini di armi. Un gruppo più piccolo ha invece fatto sventolare le bandiere ucraina e della Nato e striscioni recanti slogan ostili a Putin. L’inquietudine sembra essere sempre più di casa nel paese.