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Paulo Barone, nella fugacità del tempo la verità dell’oggi

Paulo Barone, nella fugacità del tempo la verità dell’oggiGiuseppe Maraniello, «L’occhio di Narciso», 2009

Saggi In una meditazione che fa incrociare filosofia e psicologia, Paulo Barone traccia una panoramica della nostra epoca, dopo la svolta della pandemia: «Il bisogno di introversione», da Cortina

Pubblicato circa un anno faEdizione del 23 luglio 2023

La scena del mondo dopo la pandemia avrebbe fatto affiorare un’inversione del centro di gravità delle coscienze, piegandole verso la sfera dei rapporti intimi e distraendole dal mondo esterno a cui erano tenacemente ancorate dall’avvio della Modernità. Non solo via di fuga privata, né stadio meramente temporaneo, il cambio di direzione sarebbe l’indicatore di una tendenza d’epoca tanto radicata quanto (ancora) incompresa: Paulo Barone motiva senso e portata di questa svolta in una meditazione che incrocia filosofia e psicologia – Il bisogno di introversione La vocazione segreta del mondo contemporaneo (Cortina, pp. 163, euro 14,00), compiendo l’ultimo miglio oltre il tracciato guida junghiano per giungere a delineare, in una scrittura insieme precisa e carica di aloni, una nuova immagine del mondo.

Nella grammatica della psicologia analitica, estroversione e introversione identificano caratteri a un tempo individuali e collettivi, che assumono profilo su una tela di fondo totalmente inconscia. La civiltà occidentale moderna, plasmata dalla rottura epistemologica della scienza quantitativa, sarebbe orientata orizzontalmente verso l’oggetto e verso l’esterno.
Barone la legge in chiave junghiana come epoca della dis-animazione del cielo e della natura, di crollo delle dominanti collettive della tradizione cristiana, con l’esito di un mondo popolato unicamente dalla comunità degli umani – la società – ed esclusione dell’intera sfera dell’invisibile. L’atteggiamento introverso, che fa perno sul soggetto, è qui minoritario e guardato con sospetto persino dalla psicoanalisi, che lo ricomprende nella categoria di «narcisismo». E tuttavia, proprio al cuore del moderno e dei suoi crolli, una via «segreta» porterebbe il segno dell’introversione: dei, angeli e demoni, spiriti e folletti non sono semplicemente scomparsi, la loro energia è rifluita verso l’interno, espandendo di colpo la dimensione psichica col carico di contenuti immaginali inconsci. Il mondo sarebbe entrato così in dissolvenza: lo sguardo perde chiarezza, i profili delle cose si sgranano, le identità individuali smarriscono la loro beata fissità. Anche l’immagine del mondo – quella di matrice inconscia cui si deve l’accordo tra la scena interna e quella esterna – entra in tensione e avvia il suo lento spostamento vitale.

Sugli schermi della pandemia comparirebbe infine l’alba di un nuovo orizzonte immaginale del mondo. Da un insieme solo apparentemente disordinato di foto satellitari e istantanee amatoriali – cieli tersi, città spopolate, animali in avvicinamento – Barone intende trarre una nuova forma unitaria all’altezza dell’epoca. Nell’orizzonte junghiano, questo compito impegnativo – l’ultimo motivo unitario risalirebbe al medioevo cristiano – è prerogativa dell’artista, cui solo viene riconosciuto – dopo il tramonto di sciamani, sacerdoti e profeti – il diritto di non «adattarsi» al mondo, di arretrare dal fronte della realtà verso l’inconscio. Ma sono proprio i tratti del mondo attuale – nel riconoscimento dei quali il libro prende la sua quota più alta – a mostrare la trasformazione del mandato creativo.

Una cultura estroversa ormai globale, svuotata di modelli e forme esemplari, avrebbe condotto a una generalizzata inflazione psichica, intimando agli individui di inventare se stessi, di «incarnare la propria differenza esclusiva dando vita a una condotta incomparabile». Tutti presenterebbero una personalità da artista e porterebbero in ciò i segni dell’attivazione dell’inconscio. Anche le forme delle cose avrebbero subito un analogo processo di differenziazione: una continua rifinitura avrebbe spinto le loro capacità espressive a una sottigliezza infinitesimale, verso la soglia oltre la quale precipiterebbero nell’indifferenza. La loro significatività si sarebbe concentrata in pochi elementi minimi che emergono di colpo, «bruciando le tappe», lasciandosi alle spalle quell’ordinaria forma «intera», che si rendeva visibile solo nel concatenamento graduale del prima e del poi.

Il tempo avrebbe assunto infatti una forma puntuale. La trama temporale si sarebbe sgranata in attimi fuggenti, punti culminanti senza durata, dove si concentrano ed esauriscono tutte le forme possibili delle cose; un tempo fermo, privo di traiettoria e di moto, liberato dall’idea che debba necessariamente «scorrere» lungo la successione lineare di passato presente e futuro. «La fulminea fugacità del tempo costituirebbe il coefficiente di verità di questa epoca» la quale, proprio mettendo in atto il suo presupposto di società aperta, in divenire costante, finirebbe per toccare il proprio limite ed esautorare il proprio stesso mandato storico.

La vita momentanea, sospesa in un equilibrio istantaneo, mai provvisoria, è l’immagine unitaria che Barone ne trae: esaurita la sua dinamica orizzontale, la vita ripiegherebbe in verticale verso il proprio centro di gravità, dove si intrecciano e troverebbero quiete il nostro mondo cosciente e l’inconscio. La vita momentanea sarebbe il nostro ciliegio in fiore, bello e attrattivo nel suo momento culminante, quando, perfettamente sbocciato, è in procinto di appassire. Il mondo attuale raggiungerebbe così per una via autonoma – senza copiare .– quell’inquadratura introversa di cui l’Oriente rappresenta la civiltà millenaria. La sua storia segreta non sarebbe in fondo che il l’inverso della modernità, il suo carattere illusorio.

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