Paul van Ostaijen, urla schematizzate per scene sospese
Lodewijk Schelfhout, Autoritratto, 1910 (part.)
Alias Domenica

Paul van Ostaijen, urla schematizzate per scene sospese

Poeti nederlandesi La lezione delle avanguardie tedesche, pressante fin dagli esordi soprattutto nell’aggettivazione deformata, si stempererà in accostamenti stralunati: «Polonaise», antologia poetica, da Joker
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 12 giugno 2022

Quando Paul van Ostaijen morì di tubercolosi nel 1928, a soli trentadue anni, gli scrittori sperimentali che assieme a lui avevano scosso l’Europa nei decenni precedenti stavano già imboccando altre strade; ormai domati nell’ispirazione, inquadrati nel mondo della cultura ufficiale, sarebbero presto finiti nelle maglie dei totalitarismi e avrebbero smesso di far parlare di sé, per tornare in voga solo negli anni Cinquanta, sostenuti da un rinnovato gusto per il ritmo estatico e la performance.

Nel periodo della guerra l’onda sperimentale aveva lambito il Belgio, senza tuttavia davvero investirlo, come era invece accaduto nella vicina Germania, il paese occupante guardato con un misto di sospetto e complicità. Van Ostaijen, dandy ombroso, infervorato sostenitore della causa fiamminga, alla Germania guardò più di altri. Nomi di spicco della minoranza nederlandofona usavano la cultura tedesca come leva, e Berlino divenne per una generazione di giovani scrittori antiborghesi il fulcro magnetico di un radicale processo di sovvertimento sociale ed esistenziale. «Strane creature» emerse da remoti fondali, o discese da un qualche cielo, visitano il cuore del poeta del nuovo, danzano nel chiasso metropolitano, lo incitano a spingersi verso i suoi limiti. La realtà si presenta al soggetto che la osserva in una definitiva e soverchiante estraneità, come dietro a quel «vetro trasparente, ma saldo e duro» di cui parla Kandinskij; è tuttavia una realtà seducente, che invita a una nuova e più profonda fusione, alla edificazione di un’arte totale.

Oltre l’espressionismo
In questo contesto, van Ostaijen fu tra i primissimi a portare in Belgio la lezione delle avanguardie tedesche, senza mai diventarne un semplice e blando epigono: lo documenta ora una antologia poetica titolata Polonaise (a cura di Giorgio Faggin, Joker edizioni, pp. 112, € 16,00). Nonostante qualche definizione sommaria abbia fatto di van Ostaijen un alfiere dell’espressionismo di lingua nederlandese, di quella corrente leggiamo tra queste pagine solo qualche residuo, ovvero una poetica certo vispa e scattante, ma nostalgica, trasognata, come testimonia un’ampia selezione di liriche postume, dove le crude spinte vitalistiche sono attenuate. La policromia di van Ostaijen, frutto di un vorticoso vissuto europeo, viene proposta dalla curatela di Giorgio Faggin in diverse fasi. Il giovane poeta fiammingo esordisce nel 1916 con Music-Hall, in cui si intravede l’influenza di Whitman, prima di riparare nel dopoguerra a Berlino, dove compone uno dei suoi scritti più iconici, Città Occupata, tra le prime invettive di ispirazione dadaista in lingua nederlandese, realizzata con caratteri tipografici. Vi si riversa l’urlo schematizzato della sua Anversa, ma anche il sintomo di una crisi personale. L’antologia si sofferma più diffusamente sulla fase del ritorno nelle Fiandre, un periodo di scoramento ma anche di profonda maturazione artistica.

Versi di puro ritmo
Se la lezione delle avanguardie era in van Ostaijen ancora presente, quasi impellente, sorprende tuttavia registrarne la pacatezza. In liriche come «Inconsapevole sera» o «Spleen pour rire» campeggia l’aggettivazione deformata e plastica, l’esagerazione cromatica, ma le metafore acuminate degli inizi lasciano spazio ad accostamenti più frivoli e stralunati. Lo spettro della guerra occhieggia senza gravare sui versi agili, di puro ritmo. Polonaise, un tipo di marcia in tre quarti, movimentata fra picchi e momenti di stasi, tra insistenti ripetizioni e variazioni tematiche, allude al suono della scrittura di van Ostaijen, dove si realizza ciò che Mittner definiva sinesteticamente un accordo, un’armonia «tra piani e colori», l’auspicabile compimento di un percorso dialettico che fonde elemento lirico e compositivo, estasi e geometria.
Lo stesso van Ostaijen, in questa fase della sua breve carriera, parlò di sé come di un poeta alla ricerca di un «espressionismo organico». «L’animale che per tutta la vita rincorre una pace sognata / illusione in mille celle millenarie / l’animale cacciatore che nei suoi ciechi artigli ritrova / soltanto la ripetizione del già fatto / come un animale siffatto / sprofonda il piombo / del marinaio / Se questo sprofondare passasse davanti ai tuoi occhi non conosceresti un vuoto più grande»: una nuova «Geologia», recita il titolo della lirica, da cui le gradazioni impressionistiche sono spazzate via, così come i relitti e i clangori della metropoli. Restano scene sospese, personaggi che sembrano librarsi e scontrarsi in uno spazio astratto, come in alcune composizioni di Mondrian.

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