Paul Maas, ferrea logica e sorridente ironia
La Textkritik di Paul Maas, la cui prima edizione risale al 1927, ha segnato il dibattito sui princìpi e i metodi della critica testuale degli ultimi cento anni come poche altre opere. La sua diffusione anche fra specialisti e studenti non classicisti, favorita dalle ulteriori tre edizioni – rispettivamente del 1950, ’57 e ’60, nelle quali il testo originario rimane sostanzialmente immutato, ma dove Maas aggiunge una prima e poi una seconda appendice – e dalle sue molteplici traduzioni (in italiano, inglese, greco, polacco, russo, spagnolo e francese), ne ha fatto l’opera maasiana in assoluto più conosciuta; al punto tale, addirittura, che più di un suo lettore si è abituato a considerare Maas come l’autore solo di questo ‘aureo libretto’, trascurando dunque tutto il resto dei suoi innumerevoli lavori che spaziano dalla letteratura, lingua e metrica greca a quella bizantina e a quella latina, dalla paleografia greca alla storia bizantina e alla letteratura inglese. Ma, anzitutto, chi era Paul Maas, quest’uomo ‘trasparente e misterioso’, secondo la suggestiva ed esatta definizione di Luigi Lehnus, lo studioso che, dopo Eckhart Mensching, più di qualsiasi altro nel corso degli anni ha ampliato la nostra conoscenza dell’«altro» Maas?
Dal pogrom alla Oxford University Press
Nato il 18 novembre 1880 a Francoforte sul Meno, Paul Maas studiò nelle università di Berlino e Monaco filologia classica e filologia bizantina, e iniziò giovanissimo, non ancora ventenne, a pubblicare lavori di grande dottrina e originalità, dai quali emergeva una particolare predilezione per la poesia, e dunque la metrica (e stilistica) greca e bizantina, ma anche latina (la tesi di dottorato, da lui conseguito nel 1903, verteva sul plurale poetico nella poesia latina). Nel 1910 egli ottenne la libera docenza all’Università di Berlino, e lì restò, tranne l’interruzione della guerra, durante la quale operò nei servizi sanitari della Croce rossa, fino al 1930, quando divenne professore ordinario all’Università di Königsberg, nella Prussia orientale. Qui rimase in carica per poco meno di quattro anni, cioè fino all’11 aprile 1934, quando fu collocato a riposo dal regime nazista per via delle sue origini ebraiche. Arrestato e tenuto in prigione per una settimana dopo il pogrom della ‘Notte dei cristalli’ fra il 9 e il 10 novembre ’38, Maas riuscì a emigrare in Inghilterra (solo, senza la famiglia) negli ultimi giorni dell’agosto ’39.
Stabilitosi a Oxford, vi rimase fino alla morte (15 luglio 1964) lavorando come consulente della Oxford University Press, in particolare alla revisione del Greek-English Lexicon di Liddell-Scott, e poi aiutando molti studiosi a correggere e migliorare le loro edizioni. Si ricordino a questo proposito le parole di Rudolf Pfeiffer nella prefazione al primo volume del suo Callimaco (1949): «Di coloro i quali più di venticinque anni fa mi aiutarono nell’allestimento dell’edizione minore Paul Maas solo rimane – uno solo che vale per mille. Egli, infatti, ha considerato suo compito far sì che queste poesie piene di eleganza fossero pubblicate nella maniera più perfetta possibile, e in tale impresa questo grande esperto di critica testuale ha perseverato dall’inizio fino alla correzione delle bozze, con la sua fervida intelligenza non meno che col suo giudizio equilibrato». E chi sfogli oggi l’Oxford English Dictionary scoprirà alla voce ‘consultant’, nascosto in una citazione, un discreto, ma quanto significativo omaggio postumo a uno dei maggiori filologi del Novecento: «Paul Maas … Consultant to the Clarendon Press, Oxford, from 1939».
Ma torniamo alla Textkritik. L’opera viene interpretata solitamente come il coronamento del ‘metodo lachmanniano’, dal nome del filologo ottocentesco Karl Lachmann, oppure anche metodo genealogico o stemmatico. Sebbene questa interpretazione, la cui genealogia è ancora da ricostruire nella sua interezza, contenga una parte di verità, essa non sembra tuttavia corrispondere al suo senso più profondo. Certo, Maas non rinnega affatto le conquiste delle generazioni di studiosi che lo hanno preceduto, in quanto egli conosce perfettamente l’importanza dell’esatta definizione delle relazioni di dipendenza fra i testimoni; ma la sua critica testuale muove soprattutto dalla conoscenza la più sicura possibile della lingua e dello stile degli autori e dei testi studiati, ed è sempre saldamente radicata nella storia, come ha mostrato Elio Montanari nel suo ampio, dottissimo commento alla Textkritik.
Esattamente come fece Giorgio Pasquali nella sua famosa recensione alla prima edizione dell’opera, converrà citare direttamente il secondo dei quaranta paragrafi, che in poche righe ne anticipa i contenuti principali: «Il testo generale è nei singoli casi o tramandato o non tramandato. Occorre dunque anzitutto stabilire che cosa deve o può essere considerato come tràdito (r e c e n s i o), e poi occorre esaminare questa tradizione per vedere se può essere considerata genuina (e x a m i n a t i o); se non si rivela genuina, si deve cercare di restituire il testo originale per mezzo di una congettura (d i v i n a t i o), o perlomeno cercare di localizzare il punto corrotto (corruptela).
All’addizione si sostituisce la moltiplicazione
«Nella suddivisione consueta della critica testuale in recensio ed emendatio vengono ignorati sia i casi nei quali l’esame porta alla conclusione che la tradizione è sana o che non è sanabile, sia i casi nei quali la lezione originale non può essere stabilita che dopo aver compiuto una scelta (s e l e c t i o) fra diversi testimoni stemmaticamente di pari valore (nella prima edizione si leggeva qui ‘fra diverse tradizioni di pari valore dal punto di vista della recensio’ ndr)».
Mentre nella critica testuale d’impronta ‘lachmanniana’ la recensio e l’emendatio costituivano i due termini di un’addizione, priva però della proprietà commutativa in quanto prima veniva sempre la recensio e solo successivamente si procedeva all’emendatio – e proprio in questo consisteva il progresso dell’autentico ‘metodo del Lachmann’ rispetto ai metodi precedenti in cui l’attività congetturale spesso era stata esercitata a partire da lezioni non tràdite –, con la nuova concezione maasiana, all’addizione si sostituisce la moltiplicazione, che qui non solo in astratto gode della proprietà commutativa ma molto concretamente la mette in atto assai spesso, dato che recensio ed examinatio risultano strettamente intrecciate fra loro (per es. nella menzionata selectio, oppure nella definizione di quello che Maas nel ’37 chiamerà l’errore separativo, ma che in realtà è già presente nella Textkritik del ’27 , e il cui accertamento è lì assegnato all’examinatio).
Il nocciolo del problema testuale è stilistico
Molto ci sarebbe da dire anche in merito al saggio del 1937 dedicato agli errori significativi e ai tipi stemmatici, poi da Maas aggregato a partire dalla seconda edizione alla Textkritik come appendice, e che sembra esser stato letto perlopiù non dopo o insieme alla Textkritik del ’27, ma separatamente da essa. Ma qui terminerò questo rapido schizzo della Textkritik ricordando come nella sua pagina conclusiva Maas affermi a chiare lettere che «il nocciolo di quasi ogni problema critico-testuale è costituito da un problema stilistico».
In virtù del suo carattere sistematico, della precisione e coerenza della sua terminologia, la Textkritik maasiana risulta l’introduzione alla critica testuale non solo più breve ed essenziale ma, incredibile e vero, anche la più completa che sia mai stata scritta. Lungi dall’essere superata, essa sta ancora sempre davanti a noi, e siamo noi suoi lettori a dover cercare di raggiungerla per trarne tutti gli insegnamenti celati al suo interno; senza mai dimenticare che essa è stata concepita in funzione dei testi dei classici greci e latini, e che i suoi princìpi e metodi – come vale per qualsiasi trattazione teorica in àmbito critico-testuale – sono sì in gran parte indipendenti dalla tradizione dei testi cui si applicano, ma appunto in gran parte, non del tutto. Leggerla (e rileggerla) significa misurarsi con la ferrea logica e la sorridente ironia dell’autore, il quale è pieno di fiducia nella razionalità del critico testuale, ma è anche consapevole degli ostacoli che egli è destinato a incontrare nelle proprie indagini, e dei limiti a queste connaturati; e significa comprendere che anche per Paul Maas, anzi in primo luogo per Paul Maas, la critica del testo è sempre al servizio dell’interpretazione, e in tutte le sue fasi dall’interpretazione trae linfa, secondo il ritmo della sempreverde circolarità del processo intellettivo.
*Giorgio Ziffer (1960) è professore ordinario di Filologia slava all’Università di Udine dal 2002; è stato fellow della Fondazione Alexander von Humboldt e dell’Ukrainian Research Institute dell’Università di Harvard. Il suo principale àmbito di ricerca è costituito dalla lingua e letteratura slava ecclesiastica antica. Nel 2017 ha ritradotto in italiano la Textkritik di Paul Maas (Edizioni di Storia e Letteratura, 2a ed. 2019).
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