Diversamente da quell’idea romantica dell’artista maledetto e bohémien che spesso si ha dei pittori otto-novecenteschi, la vita di Paul Klee, tra i più grandi artisti del secolo scorso, non è stata sregolata. Al contrario la sua ricerca artistica instancabile si è mossa all’interno di un percorso biografico lontano dagli eccessi. È stato un giovane colto, un marito e un padre attento, un lavoratore instancabile, un docente stimato e in generale un uomo pacato. A raccontarla con passione è il romanzo di Gregorio Botta dal titolo Paul Klee. Genio e regolatezza, recentemente pubblicato da Laterza (pp. 200, euro 18).

IL LIBRO NON VUOLE ESSERE un saggio storico artistico e il piglio con cui è scritto è infatti ben altro, si nota sin da subito una vicinanza profonda tra chi scrive (artista a sua volta oltre che autore) e il soggetto del racconto. La vita dell’artista svizzero-tedesco, nato nel 1879, viene ricostruita entrando e uscendo dalle sue opere – di cui il libro ha anche il merito di riportare le immagini a colori, seppur con didascalie parziali – e soprattutto dai suoi stessi testi, ripresi dai lunghi e minuziosi Diari, compilati fino al 1918, e dai successivi scritti teorici.

MA NON SONO solo le parole dirette dell’artista a essere cucite da Gregorio Botta all’interno del suo racconto/ricostruzione, ci sono anche le preziose testimonianze di chi ha conosciuto Klee a diversi livelli: dal figlio Felix Klee, passando per le allieve del Bauhaus come Anni Albers, fino ai colleghi della stessa scuola, come Walter Gropius, e agli amici, tra cui Vasilij Kandinskij.
Un viaggio che ci accompagna dentro all’urgenza creatrice dell’artista, la cui inclinazione s’intuisce già da un primo episodio dell’infanzia, ma che a tratti ci conduce anche all’interno delle straordinarie vicende artistiche che hanno animato il turbolento inizio del Novecento. Periodo che ha stravolto la storia dell’arte, attraverso la nascita, tra le tante, anche dell’astrazione e di una scuola come il Bauhaus.
Si tratta di un libro snello che non utilizza un ossessivo approccio filologico e per questo godibile da tutti, non solo dagli specialisti. La sua impostazione romanzesca gli permette per esempio un incipit non tradizionalmente imperniato sulle coordinate della nascita di Klee, bensì scaturito più spontaneamente dall’osservazione di un suo autoritratto.

VALE DAVVERO LA PENA di conoscere meglio questo artista inafferrabile, come lui stesso si definì, che ha cercato la propria strada saggiando, in una fase giovanile, anche la musica (mestiere di famiglia) e la poesia, per poi scegliere come via maestra quella delle arti visive. Uno sperimentatore che ha attraversato diverse tecniche, dall’acquerello alla vetrocromia, mantenendosi in perfetto equilibrio tra figuratività e astrazione e rimanendo, durante un viaggio a Tunisi nel 1914, per sempre folgorato dal colore.
Un pensatore che durante il periodo di docenza (prima al Bauhaus di Weimar e Dassau e poi all’Accademia di Düsseldorf) ha dato corpo alle proprie teorie, sostenendo che l’arte non dovrebbe rappresentare ciò che si vede ma rendere visibile ciò che non lo è. Il prolifico Klee, autore metodico di oltre diecimila opere, negli ultimi anni della sua vita lasciò la Germania e fece ritorno in Svizzera a causa del nazismo che considerava la sua arte degenerata. Qui, afflitto da una sclerodermia che lo portò poi alla morte nell’estate dal 1940, rappresentò diverse figure angeliche, tra cui il noto Angelus Novus che tanto affascinò Walter Benjamin.

Il volume sarà presentato oggi ore 18, al Museo Novecento di Firenze, con il direttore Sergio Risaliti, Adriano Sofri, scrittore, opinionista, Alessia Bettini, vicesindaca e assessora alla cultura del Comune di Firenze. Domani, sarà la volta del Centro Culturale Candiani, Mestre (ore 18.30), con Luca Barbero, direttore Fondazione Cini e Elisabetta Barisoni, responsabile Ca’ Pesaro.