Patriottismo, fascismi e resa dei conti globale
La rivista Un’anticipazione dal nuovo numero di «Jacobin Italia»
La rivista Un’anticipazione dal nuovo numero di «Jacobin Italia»
Era forse difficile, ma non impossibile, prevedere la deriva di decenni di arrembante revisionismo. Complice – involontario? – un uso deliberato del «patriottismo democratico», e sulla scia di tre lustri di offensiva memoriale postfascista sul cavallo di Troia del Giorno del Ricordo delle foibe, ci si è trovati ad assistere a una macchiettistica «foibizzazione» della storia e persino della Resistenza: il «solo perché italiani» come criterio, peraltro infondato anche nel caso delle violenze sul confine orientale, ha tracimato al punto da essere applicato dall’attuale presidente del Consiglio persino alle vittime delle Fosse Ardeatine, in occasione dell’anniversario dell’eccidio.
SIAMO AL PAROSSISMO: il timore è che la «morte della patria» di dellaloggiana memoria si attagli ottimamente a questa nuova sensibilità nazionalistico-patriottica che tiene insieme praticamente tutto «l’arco anticostituzionale», dall’estrema destra di governo all’area più sinceramente anti-antifascista, liberal-conservatrice o liberal-reazionaria, le cui fila si serrano anche intorno all’italianità ferita del secolo scorso.
Questo numero di Jacobin Italia vuole contribuire a dimostrare che la guerra che deflagrò sul suolo italiano nel settembre del ’43 non fu che la declinazione locale di un conflitto generalizzato lungo oltre un decennio. Come sottolineò oltre 30 anni fa Claudio Pavone nel suo Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, quella che si combatté tra gli anni Trenta e Quaranta fu una «guerra di religione europea e mondiale» nella quale – così Massimo Mila in un opuscolo di Giustizia e Libertà dell’epoca – «frazioni di italiani, di cinesi, di francesi e di russi oggi combattono nell’uno e nell’altro campo. Oggi noi, partigiani, sentiamo un fratello nel tedesco antihitleriano, un nemico mortale nell’italiano fascista».
In questa resa dei conti globale, in sostanza, la nazionalità non era che un impiccio incidentale. È la «quarta guerra universale» che, come sottolineato da più parti negli ultimi anni, dovrebbe essere giustapposta e sovrapposta alle tre ipotizzate dallo stesso Pavone e ormai consolidate – «patriottica», «civile», «di classe». Certo, centinaia di migliaia di persone tra il 1939 e il 1945 in Europa e tra il 1943 e il 1945 in Italia combatterono esplicitamente in nome di diverse accezioni della patria, rafforzando costantemente la sensazione che la «prima» di queste tre/quattro guerre fosse centrale: la maggior parte delle lettere dei condannati a morte della Resistenza europea, per fare l’esempio più scontato e coevo, contiene fiumi di patriottismo. Ma da quando gli storici e le storiche abdicano alla lettura degli eventi affidandone l’interpretazione a chi li visse?
SPAZZOLANDO LA STORIA contropelo à la Walter Benjamin, ci imbattiamo in migliaia di combattenti non nativi nella Resistenza italiana. Ho ipotizzato in altri interventi un ordine di grandezza, e ne parleremo più diffusamente nel saggio a ventidue mani Storia internazionale della Resistenza italiana, in uscita per Laterza il prossimo anno. Si possono stimare in un numero compreso almeno tra le quindici e le ventimila persone i combattenti stranieri nella Resistenza italiana, corrispondenti all’incirca a uno su dieci: in proporzione è un numero nettamente superiore, considerando tutti i combattenti che in territorio iberico sostennero la Repubblica tra il 1936 e il 1938-39, rispetto alla partecipazione internazionale alla guerra civile spagnola: all’incirca il doppio, e mi si conceda l’enfasi.
Oltre vent’anni fa Javier Cercas scelse di chiudere Soldati di Salamina – dove peraltro della patria scrive: «non si sa di preciso cosa sia, o è soltanto un rozzo pretesto per giustificare ogni canagliata» – proprio con un omaggio all’internazionalismo del combattente/personaggio Miralles, che lottò per otto anni su due continenti: «un soldato solo che porta la bandiera di un paese che non è il suo, un paese che è tutti i paesi insieme e che esiste soltanto perché quel soldato tiene alta la sua bandiera negata».
La rivista da oggi in libreria per le Edizioni Alegre
Il numero 20 (autunno 2023) della rivista «Jacobin» Italia, da oggi disponibile in tutte le librerie per le edizioni Alegre (pp. 137, euro 13), è dedicato al tema «Resistere serve sempre» cui hanno risposto in molte e molti. In pagina trovate il primo intervento, dopo l’editoriale, a firma di Carlo Greppi (che più avanti nello stesso numero intervista Alessandro Portelli). Tra i contributi, le firme di: Selene Pascarella, Lorenzo Zamponi, Luca Casarotti, Mariana E. Califano, Stefanie Prezioso, Chiara Cruciati, Andrea Mulas, Lorenzo Teodonio, La Came (inserto a fumetti), Simona Lunadei, Barbara Berruti, Antonio Montefusco, Massimilano Malavasi, Matteo Cavalleri, Simona Baldanzi. Segue un focus sui 20 anni dalla invasione dell’Iraq. Con una intervista di Bhaskar Sunkara a Noam Chomsky, una intervista a cura della redazione ad Anand Gopal, e interventi di Daniel Finn, Anne Alexander e Jamie Woodcock. Per informazioni si può visitare il sito www.jacobinitalia.it.
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