Patagonia for Future
Yvon Chouinard, il fondatore del mega brand sportivo per l’outdoor, devolve l’intera proprietà, valutata in 3 miliardi di dollari, ad un fondo per la lotta alla crisi climatica
Yvon Chouinard, il fondatore del mega brand sportivo per l’outdoor, devolve l’intera proprietà, valutata in 3 miliardi di dollari, ad un fondo per la lotta alla crisi climatica
«Sono costretto ad ammettere che… hey, sono un imprenditore! Anche se non ho mai stimato questa professione e mi sento come chi confessa di essere stato un alcolista o un avvocato. Buona parte dell’imprenditoria è ostile alla natura, distrugge le culture autoctone, ruba ai poveri per dare ai ricchi e avvelena la terra con gli scarichi delle fabbriche».
Scriveva così Yvon Chouinard, fondatore della ditta di abbigliamento Patagonia, nel suo libro Let my people go surfing pubblicato nel 2005 e riedito in italiano nel 2018 da Ediciclo. A distanza di 17 anni questa filosofia, portata avanti con ostinazione durante i suoi 83 anni di vita, lo ha condotto probabilmente alla decisione finale, cioè alla vendita definitiva dell’azienda a una fondazione no profit che avrà l’obbligo di destinare il 100% degli utili alle cause ecologiste.
CHOUINARD lo ha reso noto ormai a cose fatte perché lo scorso mese di agosto, con la moglie e i figli, ha ceduto le azioni con diritto di voto di Patagonia, pari al 2% del totale, al Patagonia Purpose Trust che avrà il ruolo di proteggere i valori dell’azienda. Il restante 98% è stato devoluto al Holdfast Collective, associazione senza scopo di lucro che utilizzerà i profitti per finanziare progetti a difesa della natura. Stiamo parlando di un’azienda da 3 miliardi di dollari di patrimonio e da 1 miliardo di fatturato all’anno. 17,5 milioni di dollari è stato il costo in tasse che l’operazione ha richiesto alla famiglia Chouinard la quale ha espressamente rifiutato qualsiasi forma di riduzione o esenzione.
L’IMPEGNO AMBIENTALE di Patagonia, d’altronde, risale a decenni fa. Il primo progetto riguardò la produzione di abbigliamento utilizzando esclusivamente cotone biologico, che ha un minore impatto sull’ambiente. Poi venne la scelta di realizzare i mitici pile con plastica riciclata, 25 bottiglie usate per ciascun maglione. Nel 2001 il lancio dell’iniziativa 1% for the Planet che impegnava Patagonia e le aziende aderenti a versare l’1% dei profitti annuali a iniziative ecologiche. Infine, nel 2018, il cambio dell’obiettivo aziendale siglato con una frase inserita nello statuto: Il nostro business è salvare il nostro pianeta».
MA, COME HA dichiarato Chouinard stesso, la cosa non era sufficiente.
«Un’opzione era quella di vendere Patagonia e donare tutti i soldi. Ma non potevamo avere la certezza che la nuova proprietà avrebbe tenuto fede ai nostri princìpi e avrebbe continuato a lavorare con i nostri colleghi e le nostre colleghe nel mondo. Un’altra strada era quella della quotazione in borsa. Ma che disastro sarebbe stato! Anche le società quotate con le migliori intenzioni sono messe sotto pressione per generare profitti nel breve periodo, a discapito della responsabilità nel lungo periodo. A dire il vero, abbiamo capito che non c’erano opzioni valide. Così abbiamo deciso di creare la nostra. Al “going public” abbiamo preferito il “going purpose”. Invece di estrarre valore dalla natura e trasformarlo in profitti per gli investitori, useremo la prosperità generata da Patagonia per proteggere la vera fonte di ogni ricchezza».
LA STORIA DI UN UOMO GENIALE
Figlio di un meccanico franco-canadese, Yvon faceva parte della prima ondata di alpinisti che verso la fine degli anni ’50 diedero un forte impulso al free climbing sulle pareti di Yosemite in California. Erano un gruppo di giovani scapestrati che rivoluzionarono l’approccio all’arrampicata in tutto il mondo a cui Chouinard diede un forte impulso iniziando a forgiare nella cantina di casa nuovi chiodi al cromo-molibdeno che, più resistenti ed ecologici di quelli importati dall’Europa, potevano essere estratti dalle fessure e non abbandonati in parete. Iniziò a venderli direttamente alla base delle vie d’arrampicata dal bagagliaio dell’auto.
Ben presto però, si accorse che anche i suoi chiodi erano poco ecologici perché rovinavano e scheggiavano la roccia modificandola per sempre. Venne così il momento della seconda invenzione, gli Hexentrics, dadi in metallo di diverse dimensioni che si incastravano nelle fessure senza la necessità di piantarli con un martello. Intanto, il bisogno di vivere in libertà e a contatto con la natura spinse Chouinard ad attraversare l’interno continente americano, con un gruppo di amici a bordo di un furgone lungo la costa dell’Oceano Pacifico, alla ricerca delle aree migliori per praticare surf. L’avventura si concluse tra le montagne della Patagonia dove portarono a termine la terza salita assoluta del Fitz Roy aprendo una via nuova attraverso arditi canali di ghiaccio e lisce placconate di solido granito.
NEL 1970, la svolta imprenditoriale: durante un viaggio in Scozia trascorso ad approfondire la tecnica dell’arrampicata su ghiaccio, Chouinard scoprì le maglie da rugby. Il loro cotone spesso e i colori sgargianti avrebbero sfondato tra i climber di Yosemite. Il bagagliaio aperto alla base delle pareti si arricchì di un nuovo prodotto e così nacque «Patagonia».
UN IMPRENDITORE lungimirante non perde a speranza.
E infatti, le parole con cui Yvon Chouinard ha affidato la notizia di questa ennesima rivoluzione societaria colpiscono per la nota finale di ottimismo di fronte a una scelta dettata dalla necessità di evitare la catastrofe ecologica per gli esseri umani.
«Sono passati quasi 50 anni da quando abbiamo fondato Patagonia e abbiamo iniziato il nostro esperimento di business responsabile, ma siamo solo all’inizio. Se vogliamo sperare di avere un pianeta vivo e prospero, e non solo un’azienda viva e prospera tra 50 anni, è necessario che tutti noi facciamo il possibile con le risorse che abbiamo. Questo è un nuovo modo che abbiamo trovato per fare la nostra parte. Nonostante la sua immensità, la Terra non ha risorse infinite ed è chiaro che abbiamo superato i suoi limiti. Ma il nostro pianeta è anche resiliente. Se ci impegniamo, possiamo ancora salvarlo».
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