Visioni

«Past Lives», relazioni nel tempo. Il vortice delle occasioni perdute

«Past Lives», relazioni nel tempo. Il vortice delle occasioni perduteUn frame dal film «Past Lives» di Celine Song

Cinema Nelle sale il film di Celine Song, che riflette sulla dinamica dei sentimenti

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 14 febbraio 2024

A un anno del suo inaspettato, celebratissimo, debutto, prima al Sundance e poi a Berlino, Past Lives arriva nelle sale italiane. In quell’arco di tempo, il primo lungometraggio della drammaturga coreano-canadese Celine Song, ha collezionato una ricca manciata di premi (l’ultimo ieri mattina, dalla Directors Guild, per il miglior debutto), l’entusiasmo quasi unanime della critica, un discreto box office e due nomination all’Oscar – per il miglior film e la miglior sceneggiatura originale. Un viaggio nel tempo e tra due continenti, Past Lives è un «piccolo film» solo nel senso più letterale, banale, della parola.

IL BUDGET poco superiore ai dieci milioni di dollari, interpreti scritturati tra i ranghi del cinema indipendente, e uno stile (la fotografia è di Shabier Kirchner, il DP della serie di Steve McQueen Small Axe) che potrebbe sembrare quasi volutamente dimesso, il film di Song stempera i toni fiammeggianti del melodramma (c’è chi vi ha ritrovato la lancinante passione silenziosa di cui Won Kar Wai aveva infuso In the Mood for Love) in una riflessione sulle dissonanze del destino, sull’oscillazione del vivere tra i luoghi del passato e quelli del presente, tra le radici di una cultura lontana, che ci si porta dentro, e la realtà di quella in cui si è scelto di «crescere», tra l’infanzia e l’età adulta. In questo senso, è meno il racconto triste di una storia d’amore non consumata, che quello di una sintonia profonda, irripetibile, che non riesce ad allinearsi, nel flusso della vita. Il curioso caso di Benjamin Button, senza make-up ed effetti speciali.

Il racconto del triangolo amoroso, tra i luoghi del passato e quelli del presente

Il film apre all’interno di un bar newyorkese al cui bancone stanno seduti due uomini e una donna. Lei è impegnata in un’animata conversazione con uno di loro, da cui l’altro sembra naturalmente escluso. Cut e la storia torna indietro di ventiquattro anni, e di sposta a Seul, dove conosciamo un bambino e una bambina, Na Young e Hae Sung. Vanno a scuola insieme, giocano insieme, hanno insieme momenti di tenerezza infantile (Na che si addormenta con la testa sulla spalla di lui sul sedile posteriore della macchina) e rivalità (Hae è lo studente migliore dei due). Il susseguirsi di queste rituali, dolci, sincronie che potrebbero suggerire destino comune, è interrotto dall’annuncio improvviso, da parte di Na, che la sua famiglia sta per trasferirsi in Canada.

IL FILO che li unisce è rotto bruscamente -il commiato, al solito bivio, tornando da scuola, con lei che si avvia a destra su una scala di gradini colorati e lui, a sinistra, in un viottolo di cemento grigio- e non si ricomporrà che dodici anni dopo, quando lei lo cerca improvvisamente su Facebook dove scopre che lui ha provato a raggiungerla più volte. Na (l’attrice di Russian Doll, Greta Lee, in un ruolo plasmato dalla biografia di Song), che ora si chiama Nora, vive a Toronto, dove studia per diventare un’autrice di teatro. Hae ha fatto il servizio militare, studia ingegneria e vive ancora con i genitori. Rispetto allo scarto di lei, che adesso parla meglio l’inglese del coreano, lui è…«rimasto indietro». Eppure, la loro comunicazione – da uno schermo all’altro, grazie all’era di zoom- fluisce spontanea, sincera, intima e rassicurante, come da bambini. Nora e Hae parlano anche del futuro, fino che lei non taglia nuovamente il filo – perché, dice, ha bisogno di concentrarsi su quello che sta facendo.

IL TERZO INCONTRO avviene dieci anni dopo, quando Hae prende il coraggio a quattro mani e va a trovare Nora a New York dove, diventata un’autrice di successo, è sposata con Arthur (John Magaro), scrittore che ha conosciuto in un residency (dove si svolgono alcune delle scene più belle del film, e «destino» diventa, letteralmente, una porta aperta). Prima un po’ imbarazzata dal suo arrivo, Nora ritrova l’amico/amore di sempre, passeggiando per New York, come si ritrovano i due amanti eterni della trilogia dei Before di Richard Linklater (a cui il film è stato paragonato). E Song risolve la situazione «a tre», esemplificata dalla scena iniziale del bar, con grande sottigliezza e amore per i personaggi. In un’accettazione dell’inesauribilità di certe «past lives» che è luminosa e malinconica allo stesso tempo.

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