Arturo Cirillo aveva già lavorato su testi di Annibale Ruccello (Le cinque rose di Jennifer e L’ereditiera), ma ora con Ferdinando raggiunge un punto molto alto nel viaggio attraverso la scrittura di uno dei nostri autori contemporanei (prematuramente scomparso) più ragguardevoli, tra i più complessi eppure «popolari», per la capacità straordinaria di raccontare in modo molto brillante situazioni e sentimenti, realtà e parossismo. Il nome del titolo è quello del giovane nipote rimasto orfano e solo, e quindi «caduto» in balìa di una zia ancora ferocemente (e letteralmente) borbonica, immediatamente dopo l’unità d’Italia. Con lei vive una parente il cui grado di nobiltà deve essere scemato, perché asservita ora alle esigenze in continua espansione della padrona di casa. Perché a cambiare la musica arriverà infatti il protagonista del titolo, giovane e prestante, che trasformerà in erotico (e carico di gelosia) il rapporto con ognuna di quelle tre solitudini domestiche.

LE LORO ANIME e la loro pietas sono curate dal parroco, in particolare quella della paziente tuttofare, in un tran tran tanto faticoso per loro quanto divertente per lo spettatore. La scrittura di Ruccello è davvero rutilante nel far emergere in quell’avvilente tran tran quotidiano le scintille di umanità represse dalla costrizione, eppure irresistibili nel loro percorso di «dolore» che maschera ogni sfumatura di «peccato» in un gradino di ascesi, anche se verso il nulla. L’impasto linguistico delle due donne è scoppiettante, e perfino i luoghi più comuni lanciano scintille insieme di divertimento e dolore. In quel grande salone delimitato da un enorme arazzo (scena di Dario Gessati) entriamo con l’attacco di musica barocca (composta da Francesco De Melis) che via via si insinuerà sottilmente in punta di tastiera nei curiosi risvolti che la vicenda assume. Perché a cambiare la musica arriverà infatti il protagonista del titolo, giovane e prestante, che trasformerà in erotico (e carico di gelosia) il rapporto con ognuna di quelle tre solitudini domestiche. Nel perfetto dosaggio tra favola nera e comico parossismo, il corpo di Ferdinando costituirà insieme dannazione e beatitudine di ognuno dei tre. Un balletto perverso quanto «naturale», che fa ridere lo spettatore insinuandogli i dubbi peggiori. Arturo Cirillo firma la regia e indossa la tonaca smandrappata del sacerdote; Sabrina Scuccimarra è la rutilante nobile «inferma» e Anna Rita Vitolo la parente ridotta in servitù; Roberto Ciccarelli offre la sua prestanza al personaggio del titolo, e alla perdizione/beatitudine di ciascuno dei tre.
Uno spettacolo bello e scoppiettante, in scena fino a domani al Metastasio di Prato, (coproduttore assieme a Marche Teatro e al Bellini di Napoli) prima di arrivare a Milano e Torino.