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Passeggiate in giallo, rosso e blu

Passeggiate in giallo, rosso e bluBart van der Leck, «The tempest and Batavier Line», 1916

De Stijl Il movimento olandese viene festeggiato anche al Gemeentemuseum con una mostra che mette a confronto Piet Mondrian e Bart van der Leck

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 11 marzo 2017

Se Utrecht e Amersfoort sono i luoghi che maggiormente appartengono a De Stijl – qui sono nati quattro degli esponenti principali del movimento, Gerrit Rietveld, Theo van Doesburg, Bart van der Leck e Piet Mondrian (ad Amersfoort: lui e Rietveld, nonostante la consonanza di intenti, in realtà non si incontrarono mai) – il centenario di quella rifondazione geometrica del mondo che si esprime in blu, giallo e rosso vede una sua espansione anche in altre città, mettendo a fuoco il denso programma Mondrian Dutch Design 2017, una serie di iniziative, rassegne, convegni, eventi a tema che si snodano lungo tutto l’anno. L’occasione è quella di detronizzare per un po’ Amsterdam e il suo dna «Van Gogh-centrico», metterla in soffitta per qualche mese come mèta preferita per assaporare un’altra Olanda.

Nel tour teosofico-geometrico non possono mancare Den Haag e Eindhoven, formando così un quadrato geofisico in risposta a quelli magici e profondamente spirituali di De Stijl. Ma, a ben guardare, bisogna toccare terra pure a Leiden (qui infatti nacque De Stijl nel 1917 quando Theo van Doesburg fondò la rivista che diede il nome al movimento): la città dedica una specie di festival dal vivo a Mondrian, con attori che leggono testi teatrali, concertisti che si lanciano nella musica neoplastica e scatenate danze foxtrot volteggiando in ritmi astratti (8 maggio- 4 giugno), mentre alla Lumc Gallery sfilerà l’arte contemporanea «post De Stijl». Sempre a Leiden prenderà vita la Maison d’artiste: nel 1923 van Doesburg e l’architetto-urbanista Cornelis van Eesteren la disegnarono, non venne mai realizzata, ma si trasformò ugualmente in un’icona dell’avanguardia olandese, al pari della ben meno virtuale Rietveld Schroder House. Saranno gli studenti di Delft dell’Università of Technology a proporre un suo seducente prototipo.

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Se Eindhoven concentrerà il suo programma sul design contemporaneo e le visite presso gli atelier degli artisti, Den Haag avrà come protagonista principale il Gemeentemuseum con una serie di mostre storiche. La partenza è affidata al confronto tra Mondrian e Bart van der Leck, esordi come imbianchino, poi apprendistato in vetreria e infine designer e ceramista; i due si incontrarono a Laren nel 1917, ma van der Leck rimase sostanzialmente un solitario, rifugiandosi a lavorare in pace a Blaricum, fino ai suoi 82 anni.

Già l’edificio «contenitore» – il Gemeentemuseum – vale da solo il viaggio: è un’architettura strabiliante in stile Art Déco progettata da Berlage, diventata sede del museo dal 1935, anno in cui fu completata. Qui è custodita la più grande collezione al mondo di Mondrian, compreso l’incompiuto Victory Boogie Woogie, simbolo della vitalità frenetica newyorkese. L’artista di Amersfoort, infatti, era approdato nella Grande Mela il 3 ottobre del 1940, preceduto dalla sua fama. Andò a vivere prima in un appartamento al 353 East 56th e poi si trasferì più vicino alla dinamicissima Fifth Avenue. Si era lasciato alle spalle un’Europa in preda ai deliri nazisti per trasportare la sua meticolosa sperimentazione astratta oltreoceano. Piano piano, a contatto con un’atmosfera ben diversa, le sue linee cominceranno a incrociarsi in modo ritmico, meno statico. Oltre al Vecchio Continente, anche la sua formazione rigorosa e calvinista sembra allontanarsi: è come riposta in un archivio mentale.

Le intersezioni delle linee si riempiono di finestre colorate, date a piatto, senza illusione di profondità: in questo, Mondrian rimarrà sempre fedele ai suoi principi, quei medesimi che dal simbolismo e il cubismo lo condussero verso la riduzione essenziale delle forme e la scomparsa della natura, in una composizione relazionale che sostituì i soggetti. I suoi quadri americani hanno subìto una accelerazione: danzano, sono imbevuti di jazz, sfrecciano. Gli stessi bianchi, un tempo purissimi, si sporcano con la quotidianità della vita.
Gli spunti teosofici ed esoterici – da Madame Blavatsky a Rudolf Steiner fino al seguitissimo matematico Matieu Schoenmaekers, che fu presenza rilevante per l’assestamento del vocabolario di Mondrian – sembrano ormai appartenere a un’altra epoca.

Nel 1942, il pittore ha settant’anni e due guerre dietro di sé, il caos forse non gli fa più paura. Inizia Victory Boogie Woogie, l’opera «terminale», il testamento di una ricerca che non ha mai abbandonato un’idea totale di modernità. Nell’ultimo anno della sua esistenza, il 1944 – gli fu fatale una polmonite – Mondrian lavorerà solo a questo dipinto, dichiarandolo più volte finito e riaprendo i giochi altrettante volte, mutando l’ordine della sua composizione. Alla sua morte, il quadro era nello studio, coperto da innumerevoli stickers con appunti per i colori. Pronto per altre metamorfosi.

 

 

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SCHEDA

Piet Mondrian nacque a Amersfoort, piccolo centro a una manciata di chilometri da Utrecht, il 7 marzo del 1872. E proprio nella sua casa natale, in Kortegracht 11, è stato allestito (ora completamente restaurato e rinnovato in uno spazio reinventato da Tinker Imagineers) un museo immersivo che «introduce» lo spettatore tra le pieghe di una biografia prismatica dove arte, musica, viaggi e traslochi in città diverse hanno definito i confini mobili dell’esistenza del pittore olandese, pioniere del movimento De Stijl. Nella Mondriaanhuis, infatti, non si troveranno i capolavori dell’artista che sono custoditi altrove, ma una serie di videoinstallazioni e di opere interattive che mirano al coinvolgimento del pubblico, soprattutto di quello più giovane.
Nella prima wunderkammer, si entra nel suo universo compositivo attraverso una serie di quadri in movimento, in cui virtualmente sfilano i capolavori e dove linee e colori, figurazione e strutture astratte fluiscono una nell’altra, armoniosamente, dando l’idea di un percorso rigoroso, logico, senza tentennamenti: dai paesaggi reali alle campiture di griglie geometriche. Il tour prevede anche una sosta nel suo studio di Parigi, ricostruito in scala reale, e una puntata a New York. Qui, su una superficie cubica e trasparente si circumnaviga l’America di Mondrian fra suggestioni musicali e capolavori come Victory Boogie Woogie. Il tuffo questa volta è direttamente dentro la testa del pittore.
Nell’ambito delle iniziative dedicate al centenario di De Stijl (www.mondriaantotdutchdesign.nl), la gita fuori porta verso Amersfoort è consigliata soprattutto a chi si muove per l’Olanda in famiglia, con bambini al seguito. Per loro, la Mondriaanhuis può rappresentare un’esperienza che parla la stessa lingua dei videogiochi. In città, a partire dal 6 maggio e fino al 3 settembre, si può visitare anche la mostra presso la Kunsthalkade (Eemplein 77) The Colours of The Stijl (Who is afraid of red, yellow & blue?). Un’esposizione che parte dai tre colori primari sinonimi della rivoluzione visiva per addentrarsi tra le maglie non solo di Theo van Doesburg o Bart van der Leck, Gerrit Rietveld e naturalmente Piet Mondrian, ma fra quelle di Josef Albers, Richard Serra, Barnett Newman, Robert Ryman, Jasper Johns, in una ricognizione ad ampio spettro che usa quel cromatico comun denominatore per reinterpretare il mondo.

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