Passeggiando fra le stelle
Intervista A colloquio con Luca Parmitano, astronauta dell’Esa e integrato nel corpo astronautico della Nasa. «La mania di protagonismo di alcuni individui non deve confonderci, perché un’azienda non è il suo capo. 'SpaceX' non è Elon Musk»
Intervista A colloquio con Luca Parmitano, astronauta dell’Esa e integrato nel corpo astronautico della Nasa. «La mania di protagonismo di alcuni individui non deve confonderci, perché un’azienda non è il suo capo. 'SpaceX' non è Elon Musk»
Quando a giugno lasciarono la terra, gli astronauti statunitensi Suni Williams e Butch Wilmore avevano fatto le valigie solo per 8 giorni. Ma ora sono bloccati sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) a 400 km di altezza e non potranno tornare a terra fino a febbraio dell’anno prossimo.
Quello che è successo è che la navetta spaziale Starliner costruita dalla Boeing, che aveva fatto loro raggiungere la stazione spaziale nel suo volo inaugurale, durante la traversata ha avuto problemi – come una perdita imprevista di elio nel sistema di propulsione – che hanno fatto prendere la decisione alla Nasa di rimandarla indietro vuota per precauzione qualche settimana dopo. Ora Williams e Wilmore sono stati incorporati alla successiva missione – che ogni sei mesi portano a bordo nuovi astronauti che si danno il cambio con i loro predecessori. A bordo della nave Crew-9, costruita da Space X (il cui proprietario è Elon Musk), che è arrivata sulla stazione qualche settimana fa, ci sono quattro posti. Ma due astronauti hanno rinunciato per lasciare posto, al ritorno, ai due collaudatori intrappolati in orbita.
Per sapere cosa passi loro per la testa, abbiamo sentito un altro astronauta di grande esperienza, e che comunica con loro regolarmente: Luca Parmitano, primo italiano a fare una passeggiata nello spazio nel 2013, e terzo europeo a comandare la Iss durante la sua seconda missione nel 2019. Ora vive a Houston, dove è l’astronauta dell’Agenzia spaziale europea (Esa) integrato nel corpo astronautico della Nasa. Una parte del tempo fa il capcom, cioè una delle persone che parla con chi si trova a bordo dell’Iss.
«Stanno bene e sono contentissimi – assicura – Chiaramente la loro missione è diversa dal previsto, si è trasformata in una missione di lunga durata. C’è stato un periodo di adattamento, il programma è stato modificato rapidamente per un equipaggio completamente diverso. Ad esempio il vestiario, la quantità di cibo, le loro scelte specifiche sulla dieta e così via sono tutte cose che normalmente un astronauta ha a sua disposizione prima di partire. Per loro è stato fatto tutto in un secondo momento: c’è un cargo che è arrivato a bordo dedicato specificatamente a loro e ai materiali».
Non potrebbe essere frustrante?
Entrambi sono astronauti veterani, hanno un’esperienza alle spalle, sono molto probabilmente al loro ultimo volo e quindi il fatto che sia un volo prolungato è un regalo, per la loro carriera, per il loro curriculum. È tutto in positivo e si vede anche da come hanno risposto al cambiamento. Sono molto motivati, hanno davanti un semestre con svariate attività, anche attività extraveicolari (le passeggiate spaziali, ndr), esperimenti interessanti.
Lei alla Nasa si occupa delle giovani leve astronauti.
Sono istruttore astronauta per le attività extraveicolari e la robotica oltre che capcom. In questo momento sono il mentor per la nuova classe di astronauti dell’Esa che si stanno addestrando qui a Houston. Li seguo direttamente come istruttore ma anche cercando di assicurare non solo il successo del loro addestramento ma soprattutto che eccellano. Sono in comunicazione diretta con loro da una sala di controllo, vedo le loro azioni. Li valuto e offro consigli in diretta su come fare certi movimenti, su come completare certi compiti.
Ma lei lavora anche per l’Agenzia spaziale europea.
Sì, sono il rappresentante degli equipaggi per il Gateway, la base spaziale che stiamo progettando attorno alla Luna che dovrebbe essere messa in orbita a partire dal 2028. Uno dei miei compiti è valutare e fare test sull’I-Hab, il modulo costruito dall’Esa per il Gateway. Ho partecipato quest’anno per esempio a una fase di sviluppo in cui si valuta come reagisce un essere umano dentro il sistema progettato per capire l’interfaccia, l’ergonomia, il design interno o esterno, perché ovviamente una cosa è il disegno ingegneristico, un’altra cosa è il disegno adattato all’utilizzo da parte di una persona. La funzionalità deve essere adattata all’utilizzo che se ne farà. Si fa prima con un modello a bassa fedeltà e poi si va migliorando fino all’ultima versione.
Gateway sarà simile alla Iss?
Stiamo cercando di utilizzare tutto quello che abbiamo imparato sulla stazione spaziale internazionale, cercando di non fare gli stessi errori. Gateway sarà completamente diverso, è una stazione molto più piccola, circa un terzo della grandezza dell’ISS, non sarà permanentemente abitata. Per quanto mi riguarda, mi piace moltissimo questo lavoro perché io prima di essere astronauta ero un pilota collaudatore, quindi il mio lavoro è proprio quello di sperimentare e valutare i sistemi di volo.
Volerà su questa nuova stazione spaziale?
Lavorando a questi test mantengo un po’ la mia parte operativa per un possibile volo futuro che si realizzerà con la missione Artemis: sono uno dei candidati della mia classe a partecipare a uno di questi voli.
Il ruolo degli attori privati nell’esplorazione spaziale sta crescendo sempre di più. Boeing, Space X. La Nasa sta cedendo loro il timone. Non è pericoloso che gli stati si facciano da parte?
La Nasa non ha mai costruito vettori, che sono sempre stati costruiti da altri. Quindi il paradigma non è davvero cambiato. Quello che è cambiato è il livello di coinvolgimento della Nasa nei programmi: le compagnie private hanno potuto snellire le procedure e restringere i tempi. Space X ha finora avuto successo perché è riuscito in poco tempo a realizzare astronavi cargo e per trasporto umano rinnovando completamente anche il sistema perché sono i primi a recuperare gran parte dei vettori, cosa che si era tentata anche in passato senza successo. La Nasa e le altre agenzie spaziali continuano comunque ad essere coinvolte su gli aspetti di sicurezza, quindi quando si prende una decisione è sempre fatto in maniera collegiale.
Ma il caso dei due astronauti sulla navetta della Boeing non dimostra che forse i criteri dei privati sono troppo laschi?
La sicurezza degli astronauti è sempre al centro. La cosa diversa in questo caso forse è stato il livello di accettazione del rischio per il lancio alla partenza perché c’erano alcuni componenti che erano stati definiti già in origine non perfettamente conformi alle aspettative previste. Il rischio determinato era abbastanza basso da poter comunque lanciare un programma di testing: i due sono infatti piloti collaudatori come me, molto coinvolti nel programma e anche nella decisione finale. Sono saliti a bordo di una navetta in fase di sperimentazione, che si è comportata abbastanza bene, gli astronauti sono arrivati a bordo in maniera sicura. Il rientro è sempre il più problematico, è una fase estremamente complessa del volo. Per questo sono state prese misure di sicurezza extra e si è deciso di non correre il rischio visto che si era presentato qualche problema. Si è deciso che rimandare a terra l’astronave vuota per determinare cosa è successo per migliorare i futuri voli.
Non è comunque rischioso delegare ai privati tutto questo margine di manovra?
Noi astronauti abbiamo scritto un manifesto disponibile online in cui parliamo proprio di questo rischio. Crediamo che lo spazio sia un bene comune e universale, e come tale debba essere gestito. I nostri valori europei sono pace, collaborazione, utilizzo dello spazio per il benessere e per il futuro dell’umanità. Detto questo, credo che la mania di protagonismo di alcuni individui non debba confonderci, perché un’azienda non è il suo capo. SpaceX non è Elon Musk. Le persone che lavorano a SpaceX sono estremamente in gamba, motivate, di buona volontà; sono persone che hanno dei sani principi e questo credo che valga anche per Blue Origin o Axiom. Forse sono ottimista, forse sono ingenuo. Credo che sia necessario, come abbiamo chiesto nel nostro manifesto, dare all’Europa degli strumenti per bilanciare un po’ questa predominanza che adesso sta diventando sempre più nordamericana e soprattutto privata e credo che stiamo facendo degli sforzi in quella direzione. Forse ne potremmo fare di più.
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