Nell’inizio d’anno 2024 volano, che ridere, battute sulla povertà, scompaiono redditi di cittadinanza, famiglie tradizionali e non rischiano di finire davvero sfrattate a comporre natività dentro grotte, stalle o capanne, che fuggire nel deserto già lo fanno, eppure non mancano, come spesso nei tempi bui, gli atti caritatevoli politici e aziendali fatti per sentirsi più buoni. Il 6 gennaio del nuovo anno bisesto in Italia, mentre a Modena la Befana comunista consegna il carbone all’Hera, il pensiero corre alla Befana Fascista, creata nel 1928 e rimasta fino al 1944, quale strumento di propaganda mussoliniana, idolo autarchico contrapposto all’americano Santa Claus, dispensatrice di pacchi ai meno abbienti. Una figura, e una pratica, che ebbe un tentativo di contrapposizione a sinistra, ma che è rimasta a lungo dopo la guerra come istituto datoriale di categoria: ogni famiglia ha un ricordo di qualche Befana dedicata, c’era quella dei cantieri, dei tranvieri, della Rai e quella dedicata i figli dei dipendenti postali.

STRANA SORTE quella della Befana strega più che fata, spaventosa e dispettosa, tirata per la famosa sottana rattoppata da Mussolini e nazionalisti di ritorno, confusa con la dea bendata della Lotteria Italia eppure il suo nome, storpiato, discende diretto da quello di un miracolo, di una visione miracolosa; l’Epifania divina che porta al ribaltamento, a nobili inginocchiati nello sterco di una stalla a venerare un neonato. La Befana che Enzo D’Alò, o meglio Gianni Rodari, ha voluto dalla parte dei più poveri nella Freccia Azzurra, servita in versione femminista da una Paola Cortellesi diretta da Michele Soavi nella Befana vien di notte e nel suo prequel, tra 2018 e 2021, prima di avere il cappello alla romana e le verruche, coincideva, pare, con una vergine, lunare, cacciatrice, indipendente, soprattutto dagli uomini. Discenderebbe la vecchia Befana nientemeno che da Diana che, come spesso capita alle fanciulle autosufficienti è stata trasformata nel tempo in brutta strega, e ha un manico di scopa che la riconnetterebbe al palo al centro del rogo dove da sempre finiscono le donne devianti. Scava scava si arriva sempre ai miti agrari più lontani che si accrescono e cambiano forma fino ad arrivare ai tempi moderni. Bruciano le streghe nel Medio Evo come bruciavano nell’antichità romana i fuochi durante i Saturnali, feste a ridosso del solstizio d’inverno a celebrare il ritorno della luce, della fertilità, lo stesso rito rappresentato col Carnevale e con tutte le feste di avvicinamento alla primavera.

E SOPRA quei campi pare, secondo altra variante del mito romano, svolazzassero creature di sesso femminile a propiziare il raccolto a venire. Sia come sia tutto il nodo di suggestioni, leggende, scongiuri gira attorno al fatidico 21 dicembre solstiziale a partire dal quale si contavano dodici notti: l’ultima coincide con la rinascita, il miracolo di nuovo. La luce che torna sotto forma di nascita di un redentore inaspettato o di una donna lunare che elargisce doni ovvero quello che resta in un’epoca, e una parte di mondo, avidi di consumo. Quella Dodicesima Notte, che in Spagna dove i Re Magi vanno forte è celebrata con la maestosa rappresentazione della Cabalgata de Reyes, è la stessa che dà il titolo all’omonima commedia di Shakespeare fatta di inganni, scambi, doppi che ricalca i Menecmi di Plauto. È in quella notte di festa e sovvertimento, che segna la fine del periodo di incanti che parte della tradizione inglese fa cominciare addirittura alla Vigilia di Ognissanti, che possono compiersi prodigi reali o pretesi. E di miracoli dice molto cose interessanti anche Jeanette Winterson, autrice inglese nota per gli autobiografici Perché essere felici quando si può essere normali, e Non ci sono solo le arance, nonché di un bellissimo libro sulle feste natalizie, molto nero ma anche illuminato da laici squarci di speranza.
È Dodici Racconti di Natale, edito da Mondadori in Italia, uno per ogni notte da Solstizio all’Epifania, dove alternando frammenti della sua vita, ricette non convenzionali e racconti metropolitani e fantasmagorici, ricorda come l’Epifania rovesci poeticamente strutture e gerarchie di potere, rammentandoci che il nostro modo di vivere non è definitivo, che siamo noi ad averlo strutturato così e che potremmo sempre strutturarlo in maniera diversa. Nel racconto biblico Erode per mantenere il potere ordina l’uccisione di bambini maschi sotto di due anni, ma il bambino che cerca se ne è già andato per il deserto stretto tra le braccia di sua madre.

«LE STELLE guidano dove vogliono, quel che facciamo quando arriviamo all’inaspettata destinazione sta a noi. L’impegno a essere consapevoli, a essere creativi, qualunque cosa significhi per ciascuno, l’impegno ad amare, il desiderio di cambiare, è questo l’impegno che la vita chiede». Dice Winterson, il cui cognome fatalmente in inglese è figlio dell’Inverno come la Befana che, tra le altre cose, è considerata allegoria della stagione fredda e di Gennaio, mese dedicato a Giano bifronte che guarda al passato e al futuro e protegge le soglie e gli inizi.