Visioni

Passato e futuro insieme, l’arte di Hal Willner

Passato e futuro insieme, l’arte di Hal WillnerHal Willner

Musica Morto a 64 - ennesima vittima del Covid-19 - il noto produttore americano. Dalle collaborazioni con Lou Reed agli incontri con il cinema, jazz e contemporanea

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 9 aprile 2020

«Non è necessario rinunciare al passato per entrare nel futuro. Quando si cambiano le cose non è necessario perderle.» L’arte di Hal Willner era la plastica dimostrazione di questo assunto di John Cage ed ha attraversato in modo obliquo e personalissimo gli ultimi quarant’anni della musica popolare. Nato a Philadelphia, ma newyorchese d’adozione da una vita, è morto il 6 aprile per complicazioni legate al Covid 19 a 64 anni. Responsabile della parte musicale del Saturday Night Live dal 1981, produttore di Marianne Faithfull, Lou Reed e Laurie Anderson, coordinatore della colonna sonora di America oggi di Robert Altman e di Gangs of New York di Martin Scorsese, Willner ha dato nuovo significato al concetto di album tributo, dischi che più che deferenti omaggi erano brillanti riletture, dove la musica di Nino Rota, Thelonious Monk, Charles Mingus o Kurt Weill trovava nuove stanze in cui brillare di altre luci impensate.

UN INCUBO BIZZARRO perso nelle stelle, mettendo insieme in un puzzle cubista alcuni di questi titoli. Cast stellari in ognuno di questi progetti, ed un elenco che qui non può che essere davvero parziale: da Carla Bley a Steve Lacy, da Henry Threadgill a John Zorn. I sogni in technicolor che tenevano desta la sua mente onnivora lo portarono a concepire anche un disco dedicato ai vecchi film di Walt Disney, coinvolgendo un parterre de roi che includeva tra gli altri Sun Ra e Yma Sumac. Complice dell’esordio di Jeff Buckley e profondamente legato alla cultura beat, Willner produsse anche opere spoken word, come Dead City Radio di William Burroughs e The Lion For Real di Allen Ginsberg. I suoi mix immaginari da un’altra era sono veri e propri tesori nei quali rilucono la profondità e il mistero del suono dell’America, in un miscuglio sapido ed inebriante di avanguardia, folk, jazz, pop, musica da cartoni animati. Un paese iperreale e caleidoscopico, i suoi Usa su spartito; il più antico del ventesimo secolo, come disse Gertrude Stein: dove convivono Bugs Bunny e il Pasto Nudo, cupe visioni distopiche e sogni innocenti senza tempo. Un unico disco solista a proprio nome, un capolavoro: Whoops i’m an indian, del 1998.

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