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Passaggio di fase, in tre giorni i casi sono raddoppiati

Passaggio di fase, in tre giorni i casi  sono raddoppiatiLe squadre sanitarie delle Asl di Roma a lavoro – LaPresse

Coronavirus «Tendenza al peggioramento»: 5. 372 i positivi. Siamo tornati ai numeri di marzo, ma i morti allora erano mille, ieri 28. Rispetto a sette mesi fa si fanno più tamponi: 129mila in un solo giorno. L’anestesista Vergallo avverte: «In Lazio e Campania terapie intensive in sofferenza in meno di un mese»

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 10 ottobre 2020

I 5.372 casi positivi registrati ieri ci riportano ai numeri della primavera. Bisogna tornare al 28 marzo per trovare così tanti casi in 24 ore. Sono bastati tre giorni per far raddoppiare il numero dei casi rispetto ai 2.676 di martedì. Però la situazione clinica è ben diversa, in meglio, rispetto a marzo: allora si contavano quasi mille morti al giorno, mentre ieri sono stati “solo” 28.
La differenza si spiega con il numero dei tamponi. Ieri se ne sono fatti 129 mila: 78 mila su persone testate per la prima volta, gli altri su pazienti convalescenti e su persone sottoposte a tamponi periodici come il personale sanitario. Questo consente di scoprire anche molti casi asintomatici. Rispetto alla primavera, oggi gli “attualmente positivi” assomigliano decisamente di più ai “veramente positivi”, che allora nella stragrande maggioranza dei casi sfuggivano alle statistiche per mancanza di tamponi. Lo dimostra l’età media di 42 anni dei casi diagnosticati negli ultimi 30 giorni (dati Iss): a marzo l’età media dei positivi era di oltre 60 anni, perché in questa fascia di età si concentravano i pazienti più gravi, gli unici che riuscivano ad accedere ai tamponi.

LA REGIONE CHE IERI ha contato il maggior numero di nuovi casi è la Lombardia, con 983 casi positivi, davanti alla Campania (769). Ma la situazione dell’epidemia in Campania è più critica: i test eseguiti in Campania sono stati meno di 10 mila, con una percentuale di positività dell’8%; in Lombardia i tamponi sono arrivati a 25 mila, con un tasso di positività inferiore al 4%. Secondo gli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, questa percentuale deve rimanere al di sotto del 5%, se si vuole che l’attività di tracciamento e test dei contatti tenga sotto controllo i focolai.

La difficile situazione campana si evince dal numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva. La Campania ne ha 63, sei più del Lazio e diciannove più della Lombardia, che però ha circa il doppio dei posti. Ieri il commissario straordinario Arcuri ha inviato verso la regione 150 ventilatori per i reparti terapia intensiva e sub-intensiva.

A LIVELLO NAZIONALE, nei reparti di rianimazione ci sono 387 pazienti, 29 in più in un solo giorno. «Potremmo essere dinanzi a una fase di iniziale aumento esponenziale dei casi, e non più dinanzi ad un aumento lineare più contenuto», afferma preoccupato Alessandro Vergallo, anestesista all’ospedale di Brescia e presidente dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani. «Se l’andamento dei casi di infezione da SarsCov2 – prosegue – continuerà con i ritmi e i numeri attuali, e senza misure di ulteriore contenimento, stimiamo che in meno di un mese le terapie intensive al Centro-Sud, soprattutto in Lazio e Campania, potranno andare in sofferenza in termini di posti letto disponibili».

L’ANALISI SETTIMANALE a cura della cabina di regia di ministero della Salute e Iss conferma che la tendenza è al peggioramento. «Aumenta per la decima settimana consecutiva il numero di casi di Covid-19 nel nostro paese, questa volta un po’ di più che nelle ultime settimane» dice Gianni Rezza, direttore della prevenzione al ministero. «L’indice Rt è poco sopra l’unità» – per la precisione a 1,06 – la soglia al di sopra della quale l’epidemia è in crescita esponenziale. A livello locale, segnala l’Iss, sono 14 le regioni sopra il limite. Il report si basa sui dati raccolti fino al 4 ottobre e dunque non incorpora ancora il forte aumento di questi ultimi giorni.

«Si è ormai concretizzato un passaggio di fase epidemico in Italia», sostengono gli epidemiologi dell’Iss nel rapporto. «Si osserva un notevole carico dei servizi territoriali che va monitorato per i suoi potenziali riflessi sui servizi assistenziali». In altre parole, i dipartimenti di prevenzione delle Asl faticano a eseguire tempestivamente il gran numero di tamponi richiesti e a tracciare i contatti. Senza sufficienti test, insegna l’esperienza lombarda, i malati finiscono per riversarsi sui pronto soccorsi degli ospedali mandando in tilt il sistema sanitario.

Ma è oggettivamente difficile monitorare 3.805 focolai, di cui 1.181 scoppiati solo nell’ultima settimana. Se ne stanno accorgendo le persone che devono sottoporsi al tampone nei “drive in”, dove le file arrivano a molte ore di attesa. Nel 77% dei casi il contagio avviene in famiglia, ma in oltre 4 mila casi il link epidemiologico non è stato individuato: significa che il virus circola attivamente nella popolazione in maniera sotterranea più intensamente di quanto non mostrino i test.

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