Pasquale Scialò, maestri borghesi e maestri di vicolo
Frammenti Ritorna in libreria, in due volumi con molte foto in bianco e nero e a colori, la sua «Storia della canzone napoletana»
Frammenti Ritorna in libreria, in due volumi con molte foto in bianco e nero e a colori, la sua «Storia della canzone napoletana»
Torna in libreria la Storia della canzone napoletana di Pasquale Scialò, in due splendidi volumi editi da Neri Pozza, casa editrice milanese molto attenta alla produzione culturale meridionale e in particolare napoletana. Il prezzo è considerevole (49 euro) ma i due volumi sono molto illustrati, a sollecitare un aiuto per una memoria che è soprattutto sonora, di voci e melodie care a tanti. Le foto sono in bianco e nero, soprattutto quelle di ieri, e a colori, riguardano cantanti celebri di ieri e di oggi e le canzoni che sono state più amate. Da un pubblico, va detto, che era formato spesso da analfabeti non meno appassionati dei letterati, degli ascoltatori più raffinati, e «alletterati».
Il grande merito di Scialò è di aver saputo affrontare con la stessa attenzione e competenza «l’alto» e «il basso», le canzoni, diciamo così, dei maestri borghesi e quelle dei maestri, diciamo, del vicolo, vicolo. Che erano a volte analfabeti e si facevano aiutare per le trascrizioni da amici che sapevano leggere e scrivere, parole e musica. Quando la canzone italiana, «in lingua», era appannaggio di una piccola borghesia nazionale tradizionalmente infingarda, la canzone napoletana affrontava le emozioni private alla pari di quelle e pubbliche, i mutamenti sociali e gli accadimenti storici, dal punto di vista del «basso» e non dell’«alto». Del popolo, diciamo, e non della borghesia. Personaggi e aneddoti esemplari popolano le pagine di Scialò, senza far concorrenza alla Storia con la maiuscola, e il suo lavoro mi è utile a capire la cultura napoletana più profonda, al pari dei magnifici saggi storici di Galasso e delle magnifiche considerazioni sociali di LaCapria (quelle, in particolare, di L’armonia perduta).
Di recente, di fronte al bel film di Cortellesi, mi è venuta voglia di riascoltare una canzonetta napoletana sentita cantare da mia madre e dalle vicine di casa nell’immediato dopoguerra, che parlava di un’ortolana di Sorrento che, nella Repubblica e nella democrazia nate da poco e che tra i suoi primi atti aveva dato il voto alle donne, protestava in parlamento per il rincaro dei peperoni: «signor Presidente, lassateme fa’, stavolta la legge la voglio cambia’!».
La canzone napoletana seguiva la cronaca e la storia mentre quella «in lingua» le prendeva molto alla lontana. E sarebbe interessante che qualche giovane studiosa o studioso proponesse una comparazione tra la canzone napoletana e la commedia all’italiana.
Insomma, della storia scritta da Scialò c’è molto da imparare, ma al contempo da godere, ritornando con la memoria a canzonette note e meno note. Una grande storia di «creatività popolare» che a che oggi continua, sia pur stancamente, e che ha incuriosito e appassionato grandi musicisti italiani e stranieri, e ci ha dato artisti indimenticabili, da Sergio Bruni a Carosone, da Gilda Mignonette a Giulietta Sacco.
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