Leonardo Sciascia nasce nel 1921, Pasolini nel ’22. Si è già detto e scritto del loro duraturo sodalizio intellettuale, a partire dalle recensioni pasoliniane a uno Sciascia esordiente, di cui il poeta friulano fu l’unico a cogliere la sostanza squisitamente letteraria anziché lasciarsi incantare, come i tempi esigevano, dalle sirene dell’impegno civile e dell’imperante «realismo». Ma la contiguità dei due centenari, e la loro occorrenza in anni di opaca omologazione, di generale acquiescenza ai diktat del «contesto», oggi sembrano manifestare con più drammatica evidenza che, con loro, sono scomparse la figura e la funzione dell’uomo-contro, dell’intellettuale anticonformista, fonte di dubbi e provocazioni, di congetture e confutazioni.
Due vite, le loro, e due filosofie del tutto diverse; eppure accomunate da una profonda sintonia, a partire da quelle remote recensioni fino alle «lucciole» pasoliniane evocate da Sciascia nell’affaire Moro. Non è il caso, del resto, d’insistere sulle differenze, ora che un presente troppo difforme dalla lezione di moralità e di stile di Sciascia e Pasolini le cancella affiancandoli – e distanziandoli – in una sbiadita icona.
Infatti, se è di Pasolini o di Sciascia che occorre trattare, insomma di uomini liberi, in costante e inappagata ricerca, ecco che opinionisti e accademici sono pronti a sfoderare una parola-chiave che, fingendo d’alludere significativamente, sottrae all’impegno di dire alcunché: questa parola è «moralismo».

PRONUNCIARLA EQUIVALE sempre più a una sorta di farisaico, e liberatorio, scarico di coscienza. E serve, infatti, a isolare tutt’al più un caso individuale, irripetibile, una meditazione solitaria e arcigna, al limite fastidiosamente intimidatoria: un’icona laica da venerare da lungi, non certo da imitare. Invece è venuto il momento di ricostruire un mondo, una galassia intellettuale, una rete di «sentieri interrotti» intorno a quei casi apparentemente isolati. E infatti, se di loro si è detto, nulla però si è detto su un’intera generazione – la loro, quella dei nati nel primo lustro degli anni Venti, quella tra gli altri di Calvino e Berlinguer, di don Milani e Danilo Dolci, di Basaglia e Goliarda Sapienza, di Francesco Rosi e del grande amico e conterraneo di Sciascia Emanuele Macaluso – che ha segnato nel nostro paese la storia della letteratura e delle arti, della politica e del dibattito intellettuale e civile.
Una storia della cultura e delle forme espressive scandita per generazioni è ancora da fare: questo nostro tentativo (del convegno, ndr) intende innovare il consueto appuntamento dei centenari, facendone occasione di indagini sincroniche che, ai soliti medaglioni celebrativi, sostituiscano la febbrile temperatura delle epoche di volta in volta indagate, a una storia unilineare e finalisticamente orientata sostituiscano il fecondo caos del confronto, dello scontro, del quotidiano e scomposto divenire dell’invenzione espressiva e della battaglia delle idee.

NELLA SPAGNA che Sciascia aveva «nel cuore» quella forma di periodizzazione era ed è una pratica corrente: si parla d’una «generazione del ’98» (quella di Unamuno e Machado), di quella poetica detta «del ’27» (Lorca, Salinas, Guillen, Cernuda, Alberti) e così via, e non a caso fu un grande ispanista, Oreste Macrì, a scandire per generazioni la storia della poesia italiana del Novecento. Ma senza seguito; e invece una prospettiva generazionale servirà a meglio intendere, come le precedenti e le successive, una generazione come quella del ’56, del XX congresso del Pcus e dell’invasione sovietica dell’Ungheria, eventi che da ottimistiche illusioni la convertirono a solitarie e coraggiose scommesse intellettuali.
Fra i «dieci inverni» degli anni ‘50 e le prime ventate della modernizzazione la loro irruzione da protagonisti sulla ribalta nazionale sarà segnata da eventi che, a somiglianza delle generazioni spagnole definite da un evento storico o da un’occasione letteraria, e per distinguerli dalla generazione precedente che è quella del ’45, quella della Resistenza, della liberazione, della ricostruzione, ci autorizzano a parlare di una «generazione del ’56». Che è poi l’anno del XX congresso del Pcus e dell’invasione sovietica dell’Ungheria, dell’abbandono o della revisione da parte di molti del comunismo togliattiano o quanto meno dell’ipoteca stalinista, e della crisi, ratificata dalle polemiche sul Metello di Pratolini, di quel neorealismo che aveva dato parole e immagini alle varianti dispoticamente ottimistiche del «sogno di una cosa»; ed è l’anno delle Parrocchie di Regalpetra di Leonardo Sciascia, precedute l’anno prima da Ragazzi di vita e seguite nel successivo dalle Ceneri di Gramsci di Pier Paolo Pasolini.
Cent’anni di solitudine, infine, i loro: anni di sofferta ma laboriosa e feconda solitudine, di pensiero critico e arditezze espressive maturati in un laboratorio animato da operosità e genialità, forse, non più viste da allora.

 

SCHEDA

Da «La ricotta», 1963 foto di Paul Ronald, Collezione Maraldi

Dal poeta al pittore, un fiorire di mostre

In occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975), l’Azienda speciale Palaexpo di Roma, le Gallerie nazionali di arte antica e il Maxxi celebrano a partire dall’autunno 2022, nelle rispettive sedi museali, con un grande progetto espositivo coordinato e condiviso, la figura del regista, scrittore e artista.
Il titolo Pier Paolo Pasolini. tutto è santo è ispirato alla frase pronunciata dal saggio Chirone nel film Medea (1969), che evoca la sacralità del mondo: quello del sottoproletariato, arcaico, religioso, in conflitto con gli eroi dell’altro – razionale e laico. Un percorso che intreccia discipline, media, opere originali e documenti di archivio, concepite per potersi integrare. La mostra al Palaexpo affronta la sua dimensione radicale di poeta e autore, vissuta con la totalità di un corpo che attraversa il mondo e sperimenta la fisicità come splendore e tragedia. La rassegna di Palazzo Barberini metterà a fuoco il ruolo controverso che lo sguardo pasoliniano ha svolto e svolge nell’orientare e provocare il nostro immaginario visivo, tra dimensione estetica, retaggio storico-antropologico e impegno ideologico. Al Maxxi la chiave di lettura dell’opera pasoliniana è restituita attraverso le voci di artisti contemporanei, le cui opere evocano l’impegno politico dell’autore e l’analisi dei contenuti sociali ispirati dalla sua produzione.
Intanto, il Parco archeologico del Colosseo presenta Frammenti. Il Teorema di Pasolini nelle immagini di Laurent Fiévet, una mostra di videoarte che gli rende omaggio, mentre alla Galleria nazionale d’arte moderna ci sarà il Pasolini pittore, dal 28 ottobre. E oggi si apre a Udine il progetto speciale dell’associazione Nuova Consonanza, I luoghi di Pasolini. Memorie, visioni, passioni che si svolgerà fra Roma e Udine fino al 20 novembre. L’inaugurazione sarà a Udine presso la Casa Cavazzini. Prima data romana, il 24 al Teatro Palladium.