Visioni

Pasolini, agire politico e omologazione

Pasolini, agire politico e omologazioneuna scena dello spettacolo Siamo tutti in pericolo – foto di Valentina Baruffo

A teatro Daniele salvo costruisce la drammaturgia e la regia di Siamo tutti in pericolo, al Vascello di Roma, -atto unico in cui il pensiero dell'intellettuale friulano dimostra ancora tutta la sua attualità politica

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 7 marzo 2015

Luca Ronconi è stato il primo a mettere in scena le opere teatrali di Pier Paolo Pasolini (dopo la morte del poeta), così che quelle edizioni sono gradualmente venute a costituire quasi il «canone» delle messinscene pasoliniane. Ora che si avvicina il quarantesimo anniversario dell’uccisione del poeta, sono proprio due allievi del regista recentemente scomparso, uno attore e l’altro regista, a proporre in palcoscenico la forza «politica» dei suoi scritti. Non che questi non abbiano tutti un forte impatto politico, ma certo le ultime interviste e gli ultimi articoli, alla vigilia immediata di quel tragico inizio di novembre 1975, assumono ora una colorazione particolare.

Daniele Salvo ha costruito la drammaturgia e la regia, Gianluigi Fogacci indossa con pungente secchezza il personaggio del poeta. Ed è lui a condurci al senso profondo e tremendo di quello che è il titolo dello spettacolo, così come lo era dell’intervista riportata, rilasciata da Pasolini a Furio Colombo la sera stessa in cui sarebbe stato ucciso: Siamo tutti in pericolo (al teatro Vascello fino a domenica 15 marzo). Un pericolo che non si riferisce ovviamente ai fattacci consumatisi poi a Coccia di morto, ma all’allargarsi dell’ombra terribile dell’omologazione che grazie anche alla televisione si andava estendendo a tutto il paese. Con tutti gli scandali, i misteri, i delitti e le corruzioni che poi gradualmente si scoprirono, almeno in parte. E di cui Pasolini aveva già una coscienza, quasi fisica sensazione, molto chiara e netta.

Salvo, con l’attore inquieto allo scrittoio o seduto a una sedia, un lettino spartano sul fondo, costruisce il racconto partendo dalle Ceneri di Gramsci, e arrivando attraverso citazioni dagli articoli «civili» e dalle poesie fino alla fatidica intervista. A tratti compare un ragazzo, nudo, e poi un alter ego, che si trasformerà alla fine nell’intervistatore. Ma è Fogacci a modulare, con rigorosa sobrietà, la forza di quelle parole, e dei pensieri da cui nascono. Una bella prova, che permette di ripercorrere in poco più di un’ora, buona parte della parabola pasoliniana. Ammaestrando il pubblico all’ascolto, e ancor più alla riflessione. Un’esperienza, che mette voglia, una volta fuori del teatro, di tornare a scorrere quei testi, tante volte citati, e per una volta compenetrati attraverso l’ascolto in teatro.

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