Partito e intellettuali dalla Liberazione al ’68
Saggi Alessandro Barile, «Una disciplinata guerra di posizione. Studi sul Pci», per Franco Angeli. Un’ampia analisi che indaga anche il ruolo di Rossanda
Saggi Alessandro Barile, «Una disciplinata guerra di posizione. Studi sul Pci», per Franco Angeli. Un’ampia analisi che indaga anche il ruolo di Rossanda
La guerra di posizione corrisponde, sul piano strategico, a ciò che Togliatti intendeva per socialismo nel suo rapporto al X congresso del Pci (dicembre 1962). Il segretario comunista sosteneva che, riprendendo il ragionamento avviato diversi anni prima nel corso della discussione sulla fiducia al secondo governo De Gasperi intorno a quali dovessero essere i caratteri della democrazia italiana a venire (era il 1946), la peculiarità della via italiana al socialismo era costituita da un graduale sviluppo che tendeva ad un «mutamento di qualità». Tutto si basava su una lotta di lungo periodo condotta dalle classi lavoratrici per diventare dirigenti e puntare al «rinnovamento di tutta la struttura sociale».
QUESTA IMPOSTAZIONE togliattiana aveva come origine la concezione gramsciana della politica intesa non come distinzione fra democrazia e socialismo bensì come reciproco riconoscimento nell’estensione della prima verso la realizzazione del secondo. Questa guerra di posizione costituì il filo rosso dell’elaborazione dei comunisti italiani e si giovò di una politica culturale a proprio sostegno. Questo è il tema su cui ha lavorato Alessandro Barile nel suo Una disciplinata guerra di posizione. Studi sul Pci (Franco Angeli, pp. 194, euro 33).
In otto densi e documentatissimi capitoli l’autore affronta di fatto il nesso politica-cultura nel Pci a partire dalla Liberazione fino al ’68 prendendo le mosse da un personaggio come Italo Calvino, «partigiano, intellettuale, militante», quale emblema della «intera parabola della generazione di intellettuali formatisi negli ultimi anni del fascismo e poi divenuti comunisti». I momenti in cui l’argomentazione va oltre la ricerca storiografica e si pone nell’ottica della necessità di avere un interlocutore con cui affrontare le questioni sono due: la direzione della Sezione culturale comunista affidata a Rossana Rossanda e «l’appuntamento mancato con la nuova sinistra».
LA PRIMA QUESTIONE chiama in causa proprio quel X congresso a cui si faceva riferimento all’inizio. Mentre definiva la specificità della via italiana al socialismo Togliatti provvedeva ad una riorganizzazione ricollocando diversi dirigenti e nominando, anche se la decisione fu contrastata all’interno del partito, Rossanda alla direzione della Sezione culturale. È vero che le posizioni di Rossanda erano «dissonanti» con quelle del partito sul piano culturale ma lo stesso non poteva dirsi della sua azione politica sia nella Federazione sia nel Consiglio comunale di Milano. Nonostante la sicura ventata trasformatrice di cui Rossanda fu portatrice, sul piano del rapporto con gli intellettuali non vi furono particolari novità. Barile riassume la situazione in una battuta molto efficace. «Non si fatica a dirsi comunisti; si fa sempre più fatica, però, a pensarsi organici».
La seconda questione, ossia il rapporto del Pci con la nuova sinistra, si colloca all’altezza del caso manifesto (capitolo sette) e sembra esserne in qualche modo il corollario. In questo senso, ossia nel senso di un processo di divisione all’interno della sinistra e dello stesso partito (amendoliani e ingraiani), sembra di capire che, secondo Barile, si nasconda il vizio del mancato dialogo dei comunisti con la nuova sinistra.
ALTRE QUESTIONI sono affrontate dall’autore nella sua analisi del rapporto fra Pci e intellettuali mantenendo, nella sostanza, viva l’idea che gli intellettuali dovessero avere un ruolo fondamentale costituendo la trincea più avanzata della guerra di posizione. E, visti i sommovimenti generati all’interno del partito dalle vicende politico-culturali italiane, sembra di poter dire che la guerra di posizione non sia stata proprio del tutto disciplinata.
L’epilogo del volume, che costituisce un capitolo a sé, è dedicato ad una ricognizione critica sui materiali pubblicati in occasione del centesimo anniversario della fondazione del Pci. Dalla scissione di Livorno alla questione del riformismo comunista, dalla doppiezza alle rifondazioni per concludere che la storia del Pci «appare, forse inevitabilmente, schiacciata su Gramsci e Togliatti» poco concedendo alle valutazioni sulla storia successiva, «in particolare sulla segreteria Berlinguer». Scrive Barile che Berlinguer «continua a essere una fonte di produzione bibliografica notevole» riportando in nota tre testi su di lui. Con la leggerezza del lettore di fronte a un’opera di studio e di ricerca come quella di cui si sta scrivendo, sarà invece consentito dissentire dall’autore ricordando che ci sono lavori che, ripercorrendo attraverso il pensiero di Berlinguer la sua segreteria, ne mettono in evidenza pregi e difetti per definirlo, in conclusione, rivoluzionario e comunista democratico, in modo ossimorico soltanto verbalmente ma non di certo nella sostanza dell’azione politica del leader sardo come segretario del Pci.
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