Non si può leggere il risultato delle elezioni regionali in Calabria con lente nazionale. La distorsione che si ottiene è evidente. Il successo delle destre e, in particolare, di Forza Italia che conquista oltre il 17% dei consensi ha fatto addirittura dire a qualcuno dei suoi principali esponenti che dalla Calabria riparte il progetto di Berlusconi. Alla stessa stregua sostenere che Roberto Occhiuto, il nuovo presidente della Giunta regionale calabrese, sia stato favorito dalla disarticolazione del campo avverso è opinione di chi non conosce affatto l’estrema regione peninsulare e le sue dinamiche politiche interne. Se altrove, nel resto della penisola, resiste ancora qualche brandello di organizzazione politica, in Calabria i partiti sono stati da anni espunti dalla società civile. Non deve ingannare la presenza dei simboli esibiti, come il santo in processione, durante le consultazioni elettorali; si tratta per lo più di marchi depositati in mani fidate e pronti per essere attivati alla bisogna.

A Cosenza la pace siglata sotto il segno di Forza Italia da due storiche famiglie rivali, gli Occhiuto e i Gentile, ha raggiunto pieni risultati. Entra in Consiglio Katya Gentile, figlia di Pino, mentre il cugino Andrea, figlio di Antonio, subentrerà alla Camera al posto di Roberto Occhiuto non appena la Corte d’Appello di Catanzaro lo avrà proclamato presidente della Regione. A Reggio con 13.600 preferenze stravince il forzista Giovanni Arruzzolo, presidente uscente del Consiglio regionale. Il suo nome compare, anche se non è indagato, nell’inchiesta Faust sulla cosca Pisano di Rosarno in quanto sono stati documentati i rapporti intercorrenti fra il boss e il fratello Francesco. Fratelli d’Italia vince, anche se di misura, il derby con la Lega, grazie alle quasi 6.000 preferenze di Giuseppe Neri, un passato non lontano nel Partito Democratico di cui è già stato consigliere provinciale e regionale. Tramonta così probabilmente il sogno del leghista Nino Spirlì, presidente f.f. dopo la morte di Jole Santelli, di rientrare a palazzo come vice di Occhiuto.

Il forte rinnovamento chiesto da Amalia Bruni ai partiti della coalizione di centrosinistra si è tradotto nella terza conferma a consigliere regionale di Nicola Irto, un nome ben presente nella relazione della Commissione di accesso agli atti che nel 2012 portò allo scioglimento per contiguità con la mafia il Consiglio comunale di Reggio, primo capoluogo di provincia nella storia d’Italia ad essere incappato in questa misura. Nonostante questo, due anni dopo, Nicola Irto aveva già fatto il suo primo ingresso in Consiglio regionale con oltre 12.000 preferenze, un quarto dei suffragi ottenuti dal Partito Democratico nel Reggino. L’altro candidato a “sinistra”, Mario Oliverio, già presidente della Regione, non raggiunge neppure il 2% ed esce ingloriosamente di scena con il miglior risultato ottenuto dal candidato consigliere Francesco D’Agostino, re dello stocco, che Pippo Callipo, re del tonno, alle precedenti elezioni non volle nelle sue liste sul presupposto di fare pulizia nello schieramento di centrosinistra.

Se questo panorama poco edificante possa aver contribuito anche all’alta percentuale di elettori astenuti non è dato sapere ma che sia stato alla base della scelta di Luigi il napoletano di condurre una campagna solitaria in Calabria è cosa certa e non dovrebbe stupire. Tanto meno essere biasimata.
Sulle elezioni calabresi continua a pesare la parentela e il comparaggio ma anche l’intervento diretto di cricche affaristiche e mafiose in grado di rastrellare migliaia e migliaia di voti grazie ai loro uomini sparsi in ogni comune.

Sono uomini che nei rispettivi paesi hanno potere e influenza. Non devono presentarsi agli elettori perché sono conosciuti e non devono neppure parlare di programmi o di cose da fare. Spesso non serve neppure una promessa in cambio del voto. Si vota così e basta per il rispetto dovuto all’uomo che lo chiede. Il cosiddetto voto di opinione ha una certa consistenza soprattutto nei centri urbani maggiori perché è qui che si addensa quel poco di lavoro, essenzialmente pubblico, che può sottrarsi al ricatto della punizione che, viceversa, colpisce inesorabilmente chi non soddisfa la brama elettorale diretta o indiretta del proprio padrone.