Non sono mai stato iscritto al Pd, e non l’ho votato quando ho creduto di vedere alternative plausibili alla sua sinistra (purtroppo tutte deludenti…). Ma nei mesi successivi al 25 settembre e alla sconfitta di tutte le forze politiche che non appoggiavano la destra, mi è sembrato fazioso il coro mediatico dei giudizi trancianti su questo partito, delle compiaciute previsioni di un tracollo definitivo.

Letta ha commesso molti errori, ma direi non peggiori di quelli registrati alla sua «destra» – Renzi e Calenda – e alla sua «sinistra» – Conte e i 5 Stelle.

Lo scandalo del «tempo perso» nelle modalità farraginose di un congresso che per eleggere un «leader» prevede un po’ di discussione e ben due passaggi elettorali, il secondo dei quali – le «primarie» – assai discusso, ora si è subito tramutato nella «sorpresa di nome Elly» (così a tutta pagina la Repubblica). Ed ecco tutti i commenti positivi – dai politologi alla premier Meloni – per la prova democratica, in tempi di astensionismo di massa, dei centocinquantamila iscritti che hanno scelto tra i quattro pretendenti, e del milione e trecentomila che ha capovolto il risultato.

Chi conosce un po’ non solo il mondo certamente disperante dell’organizzazione politica e istituzionale del Pd, ma anche quello del suo elettorato più o meno attivo, variamente legato al passato di vecchie tradizioni come quelle del Pci e della Dc (almeno della sua parte più «sociale»), e alle sensibilità «progressiste» delle generazioni più giovani, non è rimasto troppo sorpreso dell’affermazione di Elly Schlein.

Io mi sono fidato dalla scelta di alcuni amici tra i più «riformisti» del Pd, vecchi e sempre più delusi esperti della politica, che hanno scommesso sulla giovane outsider, più o meno con questa motivazione: «Una scossa, e comunque qualunque altra cosa, è meglio della continuità in un partito arrivato a questo punto drammatico del suo declino…».

Un “sentiment” – come ora usa dire all’inglese (chissà perché) – probabilmente condiviso, Schlein dixit, anche dalle compagne quasi centenarie come dai giovani di sardinesche speranze, insieme in fila ai gazebo tutti sotto la pioggia.
Come se la caverà ora la giovane donna, che già per essere tale è entrata nella storia, dopo la prima giovane premier di destra, come la prima segretaria nella sinistra politica italiana (in quella sindacale già ci fu Susanna Camusso)?

Su Facebook Ida Dominijanni ha preso di mira il mansplaining che sta investendo la neoletta al vertice del Pd (l’atteggiamento saccente del maschio che spiega alle donne come devono stare al mondo: soprattutto ora che una scena politica inedita mette al centro governo e opposizione nelle mani di giovani signore).

Io mi limito prudentemente a indirizzare qualche consiglio agli uomini del Pd. Non mi accodo a chi vede nelle famigerate «correnti» tutto il male possibile. Un partito «democratico» non può che essere pluralista: ma un conto sono i gruppi chiusi e gretti di potere maschile, un altro sarebbero luoghi aperti di elaborazione ideale e ricerca di nuove pratiche politiche. Consiglio che vale anche per chi cerca la sinistra fuori dal Pd.

Nessuno poi dice che la «crisi dei partiti» è la crisi delle loro culture costitutive. Una cosa credo vera per comunismo, socialismo, dottrine cristiano sociali e liberali. Achille Occhetto, l’uomo in qualche modo all’origine del caos che si è aperto a sinistra dopo il crollo del muro di Berlino, invoca una «costituente di idee».
Ma dove trovare le idee nuove che ci vogliono?

Partiamo dal riflettere sul nostro «genere», provando a chiamarlo con il suo nome: sesso.

Ma ora mi è finito lo spazio. Minaccio di continuare alla prossima…