Partita “Operazione Sentinella” ma Washington non fa proseliti
Golfo Poche le adesioni alla missione di pattugliamento navale voluta dall'Amministrazione Trump per tenere sotto pressione l'Iran.
Golfo Poche le adesioni alla missione di pattugliamento navale voluta dall'Amministrazione Trump per tenere sotto pressione l'Iran.
L’Albania, una decina di giorni fa, è stato l’ultimo paese ad unirsi a Stati uniti, Bahrein, Arabia Saudita, Regno Unito e Australia, l’alleanza che giovedì da Manama ha dato il via all’“Operazione Sentinella”. Si tratta di una task force navale che ufficialmente dovrà proteggere con pattugliamenti, scorte e controlli il trasporto marittimo, soprattutto quello petrolifero, nelle acque del Golfo e nel Mar Arabico, la parte nord-occidentale dell’oceano Indiano. Ma il vero scopo è quello di tenere sotto pressione l’Iran, al quale Washington attribuisce la responsabilità degli attacchi ad alcune petroliere in transito nel Golfo avvenuti a partire dallo scorso maggio e di aver poi colpito, lo scorso 17 settembre, con droni e missili due importanti impianti petroliferi sauditi. Tehran ha sempre negato il suo coinvolgimento e ha avanzato proprie proposte per rafforzare la sicurezza del Golfo che escludono la presenza di paesi che non siano quelli della regione.
«Questa operazione non ha componenti offensive, le parti si impegnano a difendersi in caso di attacco», ha precisato Jim Malloy, comandante delle forze navali degli Stati Uniti in Medio Oriente. Le rassicurazioni di Malloy lasciano il tempo che trovano. Un incidente nel Golfo, stretto e affollato, potrebbe innescare reazioni immediate, trasformando la «difesa» della navigazione di cui parla l’ufficiale americano in un attacco massiccio contro Tehran. L’“Operazione Sentinella” perciò sembra presentare più rischi che garantire sicurezza al traffico marittino. Il comando, affidato al contrammiraglio Alvin Holsey, avrà il suo centro di coordinamento in Bahrain, già base della V Flotta Usa e della Combined Maritime Forces (33 paesi). Le petroliere e le altre navi commerciali saranno scortate da unità da guerra dal Golfo verso lo Stretto di Bab el Mandeb. Cacciatorpedinieri e fregate sorveglieranno le strozzature, le navi più piccole invece pattuglieranno, con l’appoggio degli aerei, le principali vie di transito. «Il nostro impegno nei confronti della regione non è di breve durata, opereremo per tutto il tempo necessario, fintanto che incomberà la minaccia», ha avvertito Malloy.
I sorrisi e le strette di mano tra comandanti in alta uniforme non bastano a nascondere la delusione di Washington per la scarsa partecipazione a questa ennesima missione militare nel Golfo. La presenza dell’Australia conta fino ad un certo punto -segue sempre a ruota gli alleati statunitensi – mentre il Regno Unito e l’Albania sono i soli paesi europei ad aver accettato di inviare le loro navi da guerra (ma Tirana quante ne possiede di moderne ed efficienti?). La maggior parte dei governi europei è riluttante a partecipare alla coalizione navale, temendo di compromettere gli sforzi per salvare l’accordo nucleare con l’Iran, firmato nel 2015. Francia, Germania, Belgio garantiscono solo un appoggio simbolico e tecnico. E Londra vicina alla Brexit alla missione sembra partecipare più per prendere le distanze dalla politica estera dell’Ue che per tutelare la navigazione del Golfo in seguito al sequestro di una sua petroliera da parte dell’Iran.
Non sorprende perciò che annunciata in estate con le fanfare, l’Operazione Sentinella sia cominciata qualche giorno fa senza neppure uno squillo di tromba. «Il leone ha dato alla luce un topo», ha scritto venerdì l’autorevole giornale arabo online raialyoum.com citando un proverbio arabo simile ad uno nostro. «Il piccolo numero di paesi che partecipano a questa coalizione riflette chiaramente il declino dell’influenza degli Stati Uniti. L’era in cui le Amministrazioni statunitensi formavano coalizioni di trenta o sessanta paesi, come quelle che hanno condotto guerre in Libia, Siria e Afghanistan, è evidentemente passata, per non tornare mai più», ha aggiunto il giornale sottolineando che alla missione non partecipano tre Stati del Golfo – Kuwait, Oman e Qatar – che non sostengono l’escalation contro l’Iran e, senza poterlo dire apertamente, pensano che la causa della tensione nell’area sia stato il ritiro immotivato dell’Amministrazione Trump dall’accordo sul nucleare iraniano. Tehran non si mostra preoccupata, ma l’escalation militare non è affatto scongiurata.
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