Del termine ebraico scelto come proprio nome, i Miqrà hanno spesso sottolineato il significato acquisito di «seduzione della parola», elevandolo a motto per un songwriting che a sei anni dall’esordio di Ultimo piano senza ascensore si colloca su posizioni molto più prossime al cantautorato contemporaneo che non all’indie originario. Nel loro secondo album, Amor Vincit Omnia (Jonio Culture), Timpanaro e compagni rischiano essi stessi di soccombere al potere seduttivo della parola e della sua forza sonora, da cui solitamente deriva un eccessivo plusvalore della voce all’interno del missaggio. Cionostante, proprio quando la seduzione arriva a un passo dal narcisismo, la band catanese dimostra di voler riscattare il peso della propria musica attraverso un più attento lavoro sugli arrangiamenti, i quali si giovano di un approccio maggiormente cooperativo in studio di registrazione, in cui spiccano la produzione di Gaetano Santagati e gli archi curati da Fabio Agosta. Ne viene fuori un lavoro che segnala la volontà di (re)inserirsi in una precisa tradizione cantautorale (la cover di Stranizza d’amuri non è lì per caso), scelta identitaria e anch’essa seducente, non soltanto a parole.