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Parma Frontiere, musiche da un altro mondo

Parma Frontiere, musiche da un altro mondoKirke Karja – foto di Sohvi Viik

Eventi La pianista estone Kirke Karja, trentunenne, è l'ultima vincitrice del Premio Internazionale Giorgio Gaslini al festival jazz giunto alla ventiseiesima edizione

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 9 novembre 2021

Un ostinato sbilenco con la mano sinistra, passi nella nebbia o orme nella neve, mentre le altre dita fanno fiorire ipotesi di Nord ed emergono memorie del Christian Wallumrød di A Year From Easter, disco fragile e monumentale pubblicato da Ecm nel lontano 2005, o di Miniatures del pianista friulano Glauco Venier, sempre per l’etichetta di Manfred Eicher. Rimandi a quella filosofia del suono, a quell’approccio alla composizione che sono arricchiti da una personalità già forte e da un talento solido, limpido. Dottoranda all’Accademia nazionale di musica e teatro, leader di un suo quartetto, studi classici, di jazz e improvvisazione alle spalle, la pianista estone Kirke Karja, trentunenne, è l’ultima vincitrice del Premio Internazionale Giorgio Gaslini. Parma Frontiere, il festival jazz giunto alla ventiseiesima edizione, da sempre insiste sulla valorizzazione dei nuovi talenti: da qui la collaborazione con il premio dedicato al Maestro, che visse a Borgotaro lungo tempo e dunque il recital di venerdì 29 ottobre alla Casa della Musica della città ducale.

NEGLI ANNI la rassegna ha spesso focalizzato l’attenzione su musiche provenienti dall’emisfero boreale (Arve Henriksen o l’omaggio al compianto Misha Alperin), insistendo con coraggio e coerenza sulle voci dal grande freddo, dalla Russia alla Scandinavia, invitando giganti del jazz come Evan Parker, Barre Phillips, Louis Sclavis, esplorando i dintorni dell’avant folk con Iva Bittová ma facendo crescere anche giovani italiani come Luca Perciballi o Andrea Grossi. Un panorama quanto mai aperto sulle musiche creative quello dunque offerto dalla manifestazione diretta con determinazione, coraggio e coerenza dal contrabbassista e didatta Roberto Bonati sin dal 1996, nel quale si inserisce alla perfezione questo concerto, tra ossessioni ritmiche non lontane da quelle di Vijay Iyer, languori austeri, un fraseggiare vivido e assorto e brume novecentesche. Riferimenti a Hindemith, Elliott Carter, fugaci accenni che paiono rubati ad un minuetto e poi evolvono verso fertili altrove a dissolversi in gocce e giochi di specchi. Avventurosa senza essere arida, difficile ma non complicata, madrelingua di un lirismo che non diventa mai didascalico. La canadese Kris Davis, la slovena Kaja Draksler; aggiungiamo il nome di Kirke Karja al novero delle pianiste da seguire con grande attenzione.

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