Nella drammaticità del momento e con l’attenzione tutta rivolta altrove è stato comprensibilmente ignorato il passaggio all’ultimo giro di boa del parlamento. Il 4 marzo scorso è cominciato il quinto e ultimo anno della legislatura, quello nel quale bisognerebbe fare le riforme istituzionali minime necessarie ad accompagnare la riduzione dei parlamentari che, com’è noto, dalla prossima volta e quindi dal 2023 saranno il 37,5% in meno sia alla camera che al senato. Due le leggi urgenti, insieme alla riforma dei regolamenti parlamentari che piano piano si sta mettendo in marcia: una nuova legge elettorale e una modifica costituzionale per cambiare la base elettorale del senato. Dei due è ovviamente la modifica del sistema di voto a richiamare l’attenzione ma anche a provocare divisioni paralizzanti. E così ogni giorno che passa diventa più probabile che si torni a votare con il sistema oggi in vigore, il Rosatellum. La «peggiore legge elettorale di sempre» nel giudizio di Enrico Letta, ma anche la legge che lascia nelle mani dei segretari di partito tutto il potere di scegliere i parlamentari grazie alle liste bloccate. Ieri un nuovo segnale dello stallo destinato a tenere in vita il Rosatellum è arrivato dalla commissione affari costituzionali della camera.

A tirare il freno è stata la proposta di legge costituzionale firmata dal capogruppo di Leu Fornaro, con la quale dai tempi del Conte 2 si tenta di rimediare ai danni che il taglio dei parlamentari farà al rapporto tra elettori ed eletti. Si tenta cioè di cancellare la norma della Costituzione per la quale il senato deve essere eletto «a base regionale», visto che con i nuovi numeri le regioni piccole eleggeranno pochissimi senatori (due o tre), limitando in partenza la rappresentanza ai primi due partiti. Fornaro ha accettato di rinunciare alla seconda parte del suo disegno di legge, quella nella quale riduceva proporzionalmente ai parlamentari anche il numero dei delegati regionali che eleggono il presidente della Repubblica, per venire incontro alla Lega. Ma la Lega si è messa di traverso anche alla prima parte, malgrado una nuova formulazione della legge – che riprende la formula prevista per la camera, «il senato è eletto a suffragio universale e diretto» – avrebbe demandato l’assegnazione dei seggi alla legge ordinaria. «Abbiamo bloccato un tentativo strisciante di aprire la strada al proporzionale», spiega il capogruppo della Lega in commissione, Iezzi. «Abbiamo già una legge applicabile ed è il Rosatellum». Su questa posizione di difesa interessata del maggioritario anche Fratelli d’Italia, gli ex grillini di Alternativa e – si vedrà oggi nel voto – forse anche Forza Italia. Così può slittare ancora l’approdo in aula di questa piccola, ma decisiva riforma costituzionale. Torna a compattarsi il centrodestra, anche su un’altra proposta costituzionale: il semi presidenzialismo in una versione puramente di bandiera proposta da Giorgia Meloni. Riforma in questo caso enorme, ma buona solo per la propaganda. Avrebbe bisogno di tempi lunghi che, nell’ultimo anno della legislatura, non ci sono più.