Cultura

Paris Photo, una fiera selvaggiamente animale

Paris Photo, una fiera selvaggiamente animaleDaido Moriyama, «Stray dog», Misawa, 1971

Fotografia Fino a domenica, la kermesse ospitata per la prima volta nella sede temporanea del Grand Palais Ephémère rende omaggio alle altre specie, con una predilezione per i cani

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 12 novembre 2021

«Con troppi galli a cantare non si fa mai giorno», dice il proverbio. Eppure i quattro galli fotografati da Mario Testino, parte di un nuovo progetto del fotografo peruviano sull’identità culturale, esposti a Paris Photo (la kermesse è partita ieri e si può visitare fino a domenica) attraggono per la loro regalità chiunque passi di lì. Che poi ci sia qualcuno pronto a pagare circa dodicimila euro a foto è un’altra storia. Mai come in questa 24/ma edizione della più importante fiera della fotografia al mondo (la precedente è saltata a causa della pandemia), ospitata per la prima volta nella sede temporanea del Grand Palais Ephémère, mentre quello vero è in restauro, i veri protagonisti sono gli animali.

Foto Manuela De Leonardis

NON SOLO L’ICONICO CANE di Daido Moriyama (Stray Dog, Misawa 1971) nel suo bianco e nero fortemente contrastato che è diventato un simbolo della contestazione della generazione giapponese postbellica o la serie di vintage prints alla gelatina ai sali d’argento che il tedesco Walter Schels, noto per i suoi ritratti agli artisti e alle celebrità, ha dedicato tra il 1984 e il 1999 all’orso, al falco, al leone, allo scimpanzé, all’elefante, alla pecora, al cane (Dobermann), al gallo.
Tante pecore in bianco e nero anche per Herbert List al pascolo, nel lontano 1937, sotto gli ulivi della Grecia (dalla serie Arcadian landscape); mentre la giovane fotografa russa-americana Anastasia Samoylova «cattura» un alligatore in una piscina della Florida (Gatorama, 2020). Bianco è il gatto pelosissimo che Todd Hido ritrae a colori in un interno domestico, invece Alberto García-Alix usa la pellicola in bianco e nero per l’alano seduto nella calle. Anche il pavone di Karen Knorr è bianco e circondato dall’azzurro in Ganesha’s Mount (Chavi Niwas, Jaipur 2020) che fa da pendant a Tiger Breath con la rarissima tigre bianca immortalata negli ambienti preziosi del Forte di Amer in India (serie India Song). Un evidente corto-circuito, proprio lì di fronte, quella foto in bianco e nero di Erwin Olaf che ritrae una giovane asiatica in chador con l’ombrello aperto, in piedi su un pedalò a forma di cigno, in un paesaggio lacustre circondato da alte montagne avvolte nella nebbia (Der Schwan, 2020).

SE, POI, L’INGLESE Maisie Cousins (ha già esposto alla Tate Modern) presenta una serie di macro insetti coloratissimi nella sezione «Curiosa» della fiera, un cavallo al galoppo attraversa la steppa della Siberia vicino al Yenisei River nello scatto della documentarista tedesco-russo Nanna Heitmann che nel 2019 è entrata a far parte della Magnum Photo. Chissà cosa direbbero, infine, i Bracchi di Weimar di William Wegman se potessero parlare?
Da mezzo secolo il «miglior amico dell’uomo» è la musa prediletta dal fotografo statunitense: è datata 1970 la foto di Man Ray, il suo primo Weimaraner. Con un aplomb invidiabile, a Paris Photo li vediamo vestiti alla moda, un po’ casual o anche stilosi, con il naso all’insù sotto la cloche o magari con la tuta rossa e il blazer azzurro. Sarà, forse, il caso di dire «più imparo a conoscere l’uomo, più imparo a stimare il cane», come scrisse il naturalista francese Alphonse Toussenel?

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