Un filo d’erba in una foto di Eikoh Hosoe, un filo di perle in quella di Man Ray, un filo di luce rossa (che è in realtà è una silhouette del pianeta Giove) in un’immagine della Nasa da Voyager 2 ma anche una serie di fili colorati di lana, seta, cotone con cui viene sfondata (non solo metaforicamente) la bidimensionalità della stampa fotografica.

LA 25/A EDIZIONE di Paris Photo (ospite d’onore Rossy de Palma) al Grand Palais Ephémère (fino a domenica) è ancora una volta un’occasione ingorda per nutrire lo sguardo attraversando tempi e luoghi, fotografie autoriali o di perfetti sconosciuti in attesa di una scoperta o riscoperta. Proprio il filo, nella sua duplicità di oggetto e simbolo (una citazione di Victor Hugo, tra l’altro la sua casa-museo al 6 di Place des Vosges merita una visita, dice: «alla zampa di ogni uccello che vola è legato il filo dell’infinito») suggerisce una possibile chiave di lettura tra il migliaio di fotografie.
Da quello usato fin dagli anni ’70 dall’artista femminista tedesca Annegret Soltau per i fotomontaggi, in cui il suo volto e il corpo è cucito o incollato alle fotografie come forma contestataria rispetto a un’identità negata, ci spostiamo in una dimensione più concettuale con i fili colorati a cui l’ivoriana Joana Choumali affida la descrizione ricamata di un contesto urbano e socio-culturale del suo paese.
Spesso, è associato alle foto trovate o vernacolari, come nella ricerca dell’inglese Gemma Pepper più indirizzata verso un’estetizzazione (in parte anche ironica) che fa leva su un sentimento vagamente nostalgico. In ogni caso si tratta di opere in cui il filo, conferendo la manualità dell’intervento artistico sul frame fotografico, le rende «pezzi unici». Opere che sono ancora più interessanti quando nascono dalla collaborazione di artisti attivi in ambiti molto diversi, come Sheila Hicks sperimentatrice di narrazioni personali attraverso l’arte tessile scultorea e Paolo Roversi celebre e straordinario interprete della fotografia di moda. Insieme, nel 2021, Hicks-Roversi hanno realizzato una serie di opere con fibre naturali applicate alle polaroid e alle stampe ai pigmenti.

NATO DA UNA COLLABORAZIONE degli artisti indiani Hari Katragadda e Shweta Upadhyay anche I’ll be looking at the moon, but I’ll be seeing you (self-publishing in 500 copie realizzato con Alkazi Foundation, New Delhi), tra i volumi in lizza per il PhotoBook Awards 2022 di Paris Photo/Aperture.
Un libro fotografico che sconfina tra memorie personali e collettive con la sua struttura di romanzo gotico in cui il ricamo e il filo rosso di lana afferiscono alla complessità dei legami relazionali, alludendo ad una sfera emozionale di assenze, presagi, desideri, inquietudini ma anche di amore dichiarato già nel titolo che s’ispira alla scena d’apertura del film Il disprezzo di Jean Luc-Godard e alla canzone di Billie Holiday I’ll Be Seeing You.

DALLE PARCHE della mitologia classica, con il loro potere di determinare il destino umano filando la vita, parte infine la turca Zeynep Kayan nelle fotografie (archival pigment prints) e nei video della serie one one two one two three, dove il filo è presente indirettamente nella raffigurazione del movimento. Un racconto di fragilità e di forza in cui il corpo femminile dell’artista diventa simbolo di continuità tra passato e presente.