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Paris Bordon, la febbre della pittura, poi il repertorio delle algide

Paris Bordon, la febbre della pittura, poi il repertorio delle algideParis Bordon: «Marte, Venere e Cupido incoronati da Imeneo», part., Vienna, Kunsthistorisches Museum

A Treviso, Santa Caterina Allievo di un maestro difficile, Tiziano, che media la lezione giorgionesca, diede il suo meglio in gioventù, prima delle «belle»... Una mostra a temi, dopo quasi trent’anni (Pallucchini 1984)

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 6 novembre 2022

Finalmente, superate le difficoltà della pandemia, Paris Bordon, grande pittore del Cinquecento veneto, allievo di Tiziano, può ritornare a Treviso, la sua città natale, con una mostra allestita nel complesso di Santa Caterina: Paris Bordon 1500-1571. Pittore divino, a cura di Simone Facchinetti e Arturo Galansino, fino al 15 gennaio. Quello spazio, già teatro della mostra di Arturo Martini curata da Carlo Scarpa nel 1967, dove da qualche anno è completamente attiva la nuova sede dei musei civici, attendeva da tempo di presentarsi con questo evento. Purtroppo non deve essere stato facile fare e disfare la lista delle opere mentre si posticipava l’apertura dell’esposizione programmata già per l’inizio del 2021 e poi del 2022.

È comunque inevitabile riandare con la testa (e il cuore) alla mostra del 1984, al Palazzo dei Trecento, l’ultima dedicata al pittore, un prodotto dell’officina di Pallucchini, e riguardare lo smilzo catalogo Electa di formato curiosamente analogo a quello ora edito da Marsilio, che è anche l’organizzatore tecnico dell’evento. Negli occhi ingenui di allora è rimasta a lungo l’immagine di quella copertina con gli Amanti di Brera (c. 1525-’30) e l’insistenza compiaciuta su soluzioni stilistiche giorgionesche che arrivavano al pittore di Treviso attraverso il magistero del giovane Tiziano: collane di abbracci e tocchi a fior di pelle, mani inguantate, abiti rigonfi di ricchezza e di carni, mentre la penombra svela lentamente gli amanti lasciando in secondo piano una misteriosa presenza maschile. Ora invece gli Amanti non ci sono e ci accoglie, dai poster al nuovo catalogo, il ritratto idealizzato di una donna semisvestita (ora Galerie Canesso) con lunghissime trecce fulve sciorinate sul petto nudo e accarezzate con fredda malizia, ovvia allusione alle «donne lascivissime» per cui il Bordon piace tanto nelle corti europee a partire dagli anni quaranta del Cinquecento.
Lo sforzo organizzativo ha prodotto infine, con i mezzi e i tempi disponibili, un percorso monografico in senso stretto, dove le opere del pittore non dialogano con i contemporanei (viene in mente per contro la mostra fiorentina di Donatello ora a Berlino) e i quadri risultano organizzati secondo i temi per cui si celebra dal Cinquecento il pittore trevigiano piuttosto che inseguire una difficile cronologia che ci faccia capire come si passi dal naturalismo di Tiziano e Giorgione alle donne sensuali e algide, con corpi che sfidano la gravità tra botox e rifacimenti ante litteram.

Si propone un intreccio, insomma, piuttosto che una fabula, che si snoda attraverso trentacinque opere con cui si vorrebbe descrivere in modo semplice e pacato la vicenda del pittore trevigiano nel secolo d’oro della pittura veneziana. Si comincia così nelle sale sotterranee del museo per finire nei piani superiori con le grandi pale e le opere delle collezioni civiche. Non sono state spostate le tele del museo, che costituiscono un capitolo a parte illustrato in catalogo dal direttore Fabrizio Malachin. Né si sono mosse quelle del territorio, come la pala della chiesa di Biancade, per esempio, che avremmo visto volentieri accanto alle pale d’altare presenti in mostra, se non altro per verificarne la collocazione nella storia del pittore. O il fragile telero con la Consegna dell’anello al doge delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, il dipinto giustamente più celebre di Paris.

Paris Bordon, «Ritratto di giovane donna», Londra, The National Gallery

L’apertura non può non guardare alla giovinezza del pittore trevigiano, cresciuto nella bottega di Tiziano degli anni che portano all’Assunta (1516-’18) della chiesa veneziana dei Frari. È commovente notare come la folgorazione visiva per il grande maestro sia altissima ancora nelle Sacre Conversazioni esposte, tra cui svetta quella della Galleria Doria Pamphilj di Roma. Era difficile sbagliare ouverture tanti sono i capolavori di questi anni nel catalogo del Bordon, dove la febbre per la pittura di Tiziano e infiniti ricordi di Giorgione sembrano non smettere di salare il sangue al giovane Paris (anche se qualcuno ha detto che non si può capire Giorgione a vent’anni). E ciò nonostante si rammenti, sulla scorta di Vasari, come non fosse facile per un allievo sopravvivere nella bottega del Vecellio: poco disponibile a insegnare, a differenza di Giorgione, da lui si poteva al massimo «pigliare», imparando indirettamente dal suo modo di lavorare e dalle opere. Un maestro sempre concentrato su se stesso, per nulla didattico e che non lasciava spazio agli allievi: lo stesso Bordon ne aveva fatto le spese quando giovanissimo si era visto scippare proprio da Tiziano la commissione della pala per la chiesa di San Nicolò dei Frari.

Dopo una saletta un po’ inutile sulla fortuna critica da Aretino e Vasari a Bailo e Biscaro, il corpo dell’esposizione prende piede con il Bordon grande ritrattista e creatore di immagini femminili idealizzate, un repertorio di «belle» che sviluppa un tema ereditato da Palma il Vecchio ma inaugurato da Tiziano. I ritratti maschili ci consentono di ribadire ancora l’evoluzione giovanile, dal revival giorgionesco (in sintonia con Licinio) del Ritratto di gentiluomo di Monaco (1523) alle astrazioni manieristiche del Gentiluomo di Palazzo Rosso a Genova (1540-’45), che forse raffigura Carlo Rho, mercante e banchiere di Borghetto Lodigiano, committente di opere raffinatissime.
Accanto alle belle donne, la fortuna del Bordon maturo sta nelle favole mitologiche venate di erotismo e di contenuti epitalamici che piacevano ai grandissimi banchieri tedeschi così come a Francesco I di Francia, come ci racconta la sezione Eros e Mitologie dominata dal Venere, Marte e Cupido di Vienna (1540-’50) e dal confronto tra la freddissima nudità delle Veneri del Museo di Varsavia e della Ca’ d’Oro di Venezia.

Al secondo piano una scelta di disegni a gesso nero e rialzi di biacca su carta azzurra, come nella migliore prassi della bottega tizianesca, ci conduce alle grandi pale d’altare, che segnano ognuna un capitolo diverso dell’affermazione pubblica del pittore. In mostra il giovanile San Giorgio per la chiesa di Noale, ora ai Musei Vaticani, guarda un po’ troppo da lontano la splendida Pala Manfron dell’Accademia Tadini di Lovere, mentre la Pala Tanzi di Bari sembra richiamare una volta ancora il confronto con la pala rimasta nella vicina Biancade. Il Matrimonio mistico di Santa Caterina proveniente da Genova commuove per il suo altissimo tizianismo, forse ancora di più delle opere viste nella prima sala sulla giovinezza del Bordon (dove si era tentati di spostarlo). Chiude l’Annunciazione di Caen con quella vertiginosa prospettiva architettonica che ci ricorda il rapporto con Sebastiano Serlio e la passione intellettualistica per l’architettura dipinta che invade le opere del pittore negli anni quaranta.

Il finale biografico e artistico va quindi ricercato, fuori della mostra, nei dipinti, del museo civico o del vicino duomo. Numerosi impegni pubblici per Treviso, pale d’altare già per le chiese della città e del territorio che sembrano tradire però un triste e solitario declino, una parabola discendente per un pittore che negli anni della Controriforma è ormai sempre più lontano da Venezia. E anche il vecchio maestro, che non perde un colpo ed è più vivo che mai, è sempre più lontano, forse alla ricerca di Piero e Bellini.

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