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Parigi, il corteo anti islamofobia non convince la sinistra

Parigi, il corteo anti islamofobia non convince la sinistra

Le leggi laiche definite "liberticide" dagli organizzatori vicini ai Fratelli musulmani

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 10 novembre 2019

Grande confusione e molte polemiche a sinistra, per la manifestazione che ha luogo oggi a Parigi per protestare contro le discriminazioni di cui sono vittime i cittadini di religione musulmana. La mobilitazione è nata dopo l’attentato alla moschea di Bayonne, il 28 ottobre scorso, dove un ex candidato del Fronte nazionale ha ferito due persone.

QUALCHE GIORNO PRIMA, a Belfort, una madre con il foulard che accompagnava una classe era stata aggredita verbalmente da un consigliere comunale del Rassemblement national, perché velata. Ne è seguita la ripresa della polemica infiammata, sul velo e il suo posto nella società, che dura da trent’anni in Francia (il primo caso scoppiò nell’89, con l’esclusione da scuola di tre ragazze con il foulard, a Creil).

In un sondaggio appena pubblicato, il 42% dei francesi di religione musulmana afferma di aver subito delle discriminazioni. Pesa l’amalgama con gli islamisti, dopo i più di 300 morti negli attentati degli ultimi anni. Il 1° novembre, è stato pubblicato su Libération un appello a partecipare alla manifestazione di oggi, firmato da molte personalità della sinistra, da Jean-Luc Mélenchon a Philippe Martinez della Cgt, da Yannick Jadot dei Verdi all’ex socialista Benoît Hamon.

Ma il testo ha sollevato una polemica e alcuni dei firmatari si sono tirati indietro, a cominciare dalla femminista Caroline De Haas. Tre problemi: 1) l’appello è contro l’«islamofobia», termine controverso, che allude a un «razzismo antimusulmano»; 2) nel testo si parla di «leggi liberticide», riferimento a quella del 2004 che esclude i segni religiosi nella scuola e quella del 2010 che proibisce il burqa nelle strade, per ragioni di sicurezza; 3) l’appello a manifestare è originato dal Collettivo contro l’islamofobia in Francia (Ccif), un’organizzazione considerata vicina ai Fratelli musulmani e a Tariq Ramadan (tra i firmatari c’era all’inizio anche un imam che ha esplicitamente giustificato la sottomissione delle donne e lo stupro nel matrimonio, c’è chi aveva denunciato Charlie Hebdo per le caricature di Maometto e non ha detto nulla dopo l’attentato del 7 gennaio 2015).

In Francia dal 1905 esiste la separazione delle chiese dallo Stato, che è laico, cioè neutro rispetto alle religioni, garantisce il diritto di credere e di non credere, mentre rispetta nelle sue azioni una stretta neutralità (niente segni di appartenenza religiosa per i dipendenti pubblici e nelle amministrazioni, scuola compresa). Condannare l’«islamofobia» per molti coincide con l’impedire l’espressione libera della critica alla religione. Mélenchon ha confermato la presenza al corteo, anche se solo nel 2015 affermava: «Contesto il termine islamofobia», «difendo l’idea che si abbia il diritto di non amare l’islam, il diritto di non amare la religione cattolica». Ma ora dice: «La questione posta oggi non è quella del diritto o meno di criticare la religione, si tratta di combattere l’attitudine di odio cieco che spinge al crimine».

IN FRANCE INSOUMISE però ci sono molte defezioni. A cominciare dal giornalista-regista François Ruffin, che afferma di dover «giocare a calcio», e il numero due del partito Adrien Quatennens, che ha «altro da fare». Il leader dei Verdi Jadot afferma di «non condividere» tutto il testo dell’appello e non andrà a manifestare, ma sottolinea la «solidarietà con la comunità musulmana». Il Ps ha preso le distanze: «Non ci riconosciamo nelle parole d’ordine che presentano le leggi laiche in vigore come liberticide». Il segretario Oliver Faure precisa: «Difendiamo la legge laica che permette di credere e di non credere», ma condanna la «diffusione dei discorsi d’odio anti-islam».

Nel Pcf, il segretario Fabien Roussel non andrà alla manifestazione e trova «riduttivo» il termine «islamofobia», mentre ci sarà Jan Brossat, che è stato capolista alle europee. Il primo ministro Edouard Philippe è intervenuto nella discussione: «Non nego che in Francia alcuni possano essere attaccati per il colore della pelle o per le convinzioni religiose, e questo è razzismo e discriminazione. Ma un certo numero, forse non tutti, di coloro che chiamano a manifestare mi pare che siano in una logica comunitarista», che si oppone all’universalismo che è alla base della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, testo fondamentale della Rivoluzione e preambolo della Costituzione in vigore (1958).

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