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Parigi 2 brucia? La città di cartapesta

Parigi 2 brucia? La città di cartapesta

1914, anniversario della Grande Guerra Il governo francese nel 1918 pianificò la costruzione di una "finta" Parigi che potesse trarre in inganno i piloti tedeschi a quei tempi sprovvisti di radar. Si riuscì a simulare la linea ferroviaria di nord ovest. Poi la guerra finì

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 1 febbraio 2014

Una Ville Lumière posticcia creata dal nulla a nord della capitale, una Parigi 2 con specchi e luci accese per trarre in inganno i piloti della Luftwaffe: l’idea non venne a un palazzinaro ante litteram con buoni agganci nel mondo della politica ma allo Stato maggiore dell’esercito francese preoccupato dalla sempre maggiore efficacia dei bombardamenti notturni sferrati dagli aerei tedeschi nel corso della Prima guerra mondiale.

Il progetto di creare un clone di Parigi a grandezza naturale, mai divenuto davvero operativo perchè nel frattempo le parti in conflitto firmarono l’armistizio, fu affidato a Fernand Jacopozzi un ingegnere esperto in impianti elettrici che, dopo il meritorio contributo fornito alla causa, negli anni Venti riceverà l’incarico di illuminare anche i monumenti simbolo della città vera: i grandi magazzini come La Samaritaine, Le Grand Bazar de l’Hotel de Ville, i boulevards, i passages assurti a paradigma della Parigi «capitale del XIX secolo» e naturalmente la Tour Eiffel. Jacopozzi passerà alla storia come «il mago delle luci», quelle luci capaci di «far fuggire i banditi ed attirare i clienti» che, a partire dal Secondo Impero, avevano rappresentato uno dei miti della Modernità.

 

Ma torniamo agli albori della città fantasma: all’inizio della guerra i raid dei dirigibili Zeppelin erano ancora uno «spettacolo» incruento  che attirava le masse incuriosite sulle alture di Montmartre per la gioia dei rivenditori di canocchiali e sedie a sdraio. Una pacchia o quasi che pero’ duro’ poco. Gli stupefacenti progressi tecnologici nel volgere di pochi mesi trasformarono quelle che fino ad allora erano state incursioni per lo più propagandistiche e dissuasive in una angosciante minaccia simbolizzata dalle sagome dei bombardieri Gotha capaci di scaricare sui centri abitati bombe da una tonnellata.

Per correre ai ripari, bisognava inventarsi un sotterfugio capace di indurre in errore il nemico. Vennero attentamente studiate le mappe e per erigere la falsa Parigi fu scelta una zona quasi disabitata a nord della capitale dove la Senna replicava il tipico corso ad S che compie attraversando la città.

«L’idea di costruire una ville fantome può sembrare aberrante ma non è certo privo di senso – scrive Xavier Boissel in Paris est un leurre, la veritable histoire du faux Paris, il libro edito da Inculte che ha riportato alla luce questa «utopia bellica» morta sul nascere – i bombardamenti diurni erano troppo rischiosi. I raid tedeschi venivano quindi sferrati di notte e, visto che i radar ancora non esistevano, i piloti erano costretti a orientarsi seguendo il tracciato dei binari ferroviari reperibili grazie alla luce emessa dalle locomotive a vapore o i riflessi delle vetrate delle stazioni come quella dell’Est». La copia a grandezza naturale di questo snodo ferroviario sarà uno dei pochi edifici del piano a vedere effettivamente la luce. Oggi, l’area in cui doveva ergersi la città replicante che tanto sarebbe piaciuta a un Philip K. Dick, è una costellazione di prefabbricati, zone commerciali recintate, terrenni incolti. Una  no man’s land disorganica che l’autore del libro, filosofo di professione,  percorre provando a leggerne in controluce segnali, tracce, indizi.

Le sue promenades psicogeografiche disegnano una «strana cartografia intima» e stimolano rêveries intellettuali e sensoriali che si richiamano a quelle sperimentate da Walter Benjamin nel corso delle sue derive urbane. Boissel dalle sue escursioni ai margini della metropoli fa ritorno a mani vuote  (della Parigi replicante oggi non resta più nulla) ma con il convincimento che questi luoghi costituiscano il punto di osservazione privilegiato per «nterpretare i fenomeni da una prospettiva inedita», per cogliere i nessi storici e psicologici che legano il passato al nostro presente.

L’edificazione della città fantasma, al di là del suo carattere di puro aneddoto, si delinea allora come matrice delle trasformazioni dell’odierna metropoli «museificata» in cui la frontiera tra il reale e la sua rappresentazione è stata definitivamente abolita e sono i simulacri stessi a fondare la realtà. «Nel mondo realmente rovesciato il vero è un momento del falso» affermava, capovolgendo la celebre formula hegeliana, il situazionista Guy Debord.

Se il ricorso alla creazione di falsi obiettivi ed artifici non ha nulla di sorprendente ed è «parte integrante delle strategie belliche dalla notte dei tempi». Se «Troia venne espugnata con l’inganno grazie a un cavallo di legno e durante la II guerra mondiale l’illusionista britannico Jasper Maskelyne e la sua troupe di ingegneri e artigiani al servizio della Royal Army riuscirono nel capolavoro di dissimulare il porto di Alessandria d’Egitto e il canale di Suez edificando falsi silos e un dispositivo di specchi deformanti», è anche vero che  simulazioni e universi fake mai come oggi dominano la scena non solo nel mondo dell’arte ma anche in quello dell’informazione, della politica, della pianificazione urbana.

«Oggi non c’è nessun bisogno di costruire una finta Parigi – assicura Boissel – perchè la capitale è divenuta essa stessa un simulacro». I nostri centri storici, svuotati delle loro popolazione originaria, trasformati in vetrine, ammirati dai visitatori seduti a bordo di autobus turistici a due piani; le facciate dei palazzi storici ricoperte da pannelli pubblicitari giganti e tirate a lucido come le quinte di un teatro, sanciscono il trionfo di quella «società dello spettacolo» preconizzata a cavallo del secolo scorso e di cui la replica di Parigi in scala 1:1 fu una sorta di «laboratorio».

Trasformata in città ologramma, in Dysneyland luminosa, la Parigi che generò i Miserabili e la Rivoluzione, che ospitò legioni di scrittori da tutto il mondo e fece da detonatore al ’68 oggi è un  innanzitutto un brand che si autopromuove «sancendo il trionfo postumo» di Fernand Jacopozzi e della vera Ville Lumière: quella di cartapesta.

 

 

 

 

 

 

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