Quella dei parchi nazionali italiani è una storia lunga un secolo, fatta di pionieri, élite illuminate e comunità attente alle risorse del territorio. Tuttavia, è anche una storia di conflitti, amnesie, rimozioni, accelerazioni e interruzioni improvvise.

Luigi Piccioni è forse il più importante storico italiano dei movimenti ambientalisti e delle aree protette e nel volume Cento anni di parchi. Scritti di storia delle aree protette (Università di Camerino, pp. 265, euro 10) ha raccolto oltre venti anni di articoli, saggi e interventi dedicati alla nascita e alla travagliata vita di queste istituzioni, che a cavallo tra 2022 e 2023 compiranno un secolo di attività. È infatti tra il dicembre 1922 e i primi mesi dell’anno successivo che nacquero formalmente i primi due parchi «storici»: quello del Gran Paradiso, tra Piemonte e Valle d’Aosta e quello d’Abruzzo – oggi d’Abruzzo, Lazio e Molise.

A DISPETTO DELLA DATA, l’istituzione dei parchi, avverte Piccioni, non è assolutamente un risultato del regime fascista. Al contrario, Mussolini ereditò a pochi mesi dal suo insediamento l’esito normativo di un dibattito lungo almeno un decennio. Un dibattito per altro internazionale e che vide, per varie ragioni che è impossibile qui riassumere, l’Italia come uno dei paesi pionieri del Vecchio continente.

Il dopoguerra, fino agli anni Sessanta, viene ben descritto da Piccioni come una «glaciazione» del dibattito pubblico sulla tutela ambientale e le aree protette. Concorse a questa stagnazione la situazione economica generale del Paese, con le sirene del benessere portato dal turismo di massa che arrivavano alle vallate alpine e appenniniche mettendo in crisi le istanze «conservazioniste». Fecero però la loro parte anche conflitti interistituzionali tra gli organi centrali e il crescente regionalismo – ancor più radicale nei territori con questioni culturali e linguistiche aperte, come in Alto Adige.

PICCIONI TORNA PIÙ VOLTE sul rilancio delle tematiche ambientali nell’opinione pubblica a partire dagli anni Settanta. Su questo, la storia istituzionale interseca la storia culturale e sociale: movimenti, associazioni, prodotti culturali – basti ricordare il successo della rivista Airone nata nel 1981 – vissero tra la metà dei Settanta e i primi anni Novanta un crescendo di consenso e attenzione: in una certa misura, l’ambientalismo è uno dei tanti fiori sbocciati nel lungo Sessantotto italiano.

Piccioni riconosce nella storia dell’ambientalismo «diffuso» uno dei fattori del rilancio delle sperimentazioni e della produzione normativa in favore dei parchi e delle riserve, con un culmine nel 1991, anno di approvazione della travagliata legge quadro n. 394. La normativa assimilò parchi nazionali, riserve regionali e di altri enti locali, sottoponendoli agli stessi principi di tutela e gestione. Inoltre, dopo decenni, proprio a cavallo degli anni Novanta venivano istituiti nuovi parchi nazionali, arrivati oggi al considerevole numero di 24.

Al secondo per nascita, quello d’Abruzzo, Piccioni dedica l’intera seconda parte del volume, con un’antologia di scritti centrati sulla presenza dell’orso e la sua coabitazione con gli esseri umani, sulle sperimentazioni istituzionali e culturali avviate dai comuni del territorio nei vivaci anni Sessanta e Settanta, sulla figura del guardiaparco, raccontata attraverso le fonti orali raccolte dall’autore stesso nel 2015, sulla comunicazione visuale del Parco attraverso una selezione di manifesti, cartoline, pubblicazioni, stemmi, compreso l’iconico orsetto seduto realizzato da Salvatore Felice nel 1969.

NELL’ESTATE PIÙ CALDA e secca di sempre, il centenario dell’istituzione dei parchi nazionali italiani poteva essere occasione per generalizzare il dibattito politico e culturale intorno alla tutela ambientale nel nostro Paese. Al contrario di quanto accade con questo genere di ricorrenze, l’editoria non è stata invece particolarmente reattiva: questo rende ancora più significativo questo volume, che ci restituisce decenni di lavoro e attivismo in favore delle aree protette.