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«Parasite», famiglie ricche e povere e la ferocia del capitalismo

«Parasite», famiglie ricche e povere e la ferocia del capitalismo

Cannes 72 Il nuovo film di Bong Joon-ho presentato in concorso restituisce senza concessioni lo stato del presente, in cui anche compassione e solidarietà tra persone vicine sono divenute obsolete

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 23 maggio 2019

Nel giorno di Quentin Tarantino la Palma d’oro è Bong Joon Ho. L’hashtag ha cominciato a circolare ieri notte, subito dopo la proiezione di Parasite, il nuovo film del regista coreano autore del prorompente Snowpiercer, e il cui precedente Okja, fiaba feroce sul capitalismo presente e passato targato Netflix era stato presentato sulla Croisette in concorso scatenando le furiose polemiche che hanno poi portato il festival alla decisione di escludere il colosso dello streaming dalla competizione.

NELLE NOTE raccolte sul pressbook Bong Joon-ho dice: «La coabitazione tra persone di classi diverse può essere difficile. In un mondo che ha svuotato di senso l’idea delle relazioni umane basate sulla coesistenza, ogni classe sociale diviene parassitaria per le altre. Eppure all’inizio non erano parassiti, erano i nostri vicini, i nostri amici e colleghi caduti a un certo punto nel precipizio». È quanto è accaduto alla famiglia protagonista, padre, madre, due figli giovani; il padre ha sbagliato investimenti, i due ragazzi non sono riusciti a entrare all’università lui, alla scuola d’arte lei, e non perché non si fossero preparati, è andata così e del resto non avrebbero avuto nemmeno i soldi per studiare. Vivono in un sottoscala, nella parte bassa della città, la cui toponomastica riflette quella di classe, in alto i ricchi, sotto i poveri, squattano il wi-fi dei vicini, non hanno lavoro se non saltuario, sopravvivono come possono.

Poi succede che un amico del figlio più ricco e fortunato gli chieda di occuparsi di una sua allieva di inglese a cui tiene molto in sua assenza. Il ragazzo scopre così la vita dei ricchissimi, un lusso di padre assente, figli capricciosi, la ragazza e un ragazzino viziatissimo, la madre che vuole credere a tutto. Uno per uno gli altri familiari lo seguono, il padre come autista, la madre come governante, la sorella come insegnante di disegno per il ragazzino più piccolo, ciascuno conquista un impiego – a scapito di poveretti come loro licenziati di colpo – fingendo di non conoscersi l’uno con l’altro.

IL PRIMO riferimento che viene in mente è la famiglia del film di Kore-eda vincitore la scorsa edizione della Palma d’oro – Un affare di famiglia – anche loro trafficoni e espertissimi nella mai tramontata «arte di arrangiarsi». Bong però a differenza del regista giapponese esprime uno sguardo meno empatico nei confronti dei suoi personaggi, non li giudica e non è nemmeno a loro fianco come non pretende che lo sia lo spettatore. La storia, che definisce «una commedia senza clown, una tragedia senza cattivi» nella sua geometria di relazioni restituisce senza concessioni lo stato del presente, in cui anche compassione e solidarietà tra persone vicine sono divenuti obsoleti, e al tempo stesso non ha «un piano», proprio come la famiglia «parassita»: in che modo non farsi scoprire? Come sconfiggere gli altri che appaiono dal sottosuolo per farli fuori?
La scommessa del film si gioca dunque nel confronto tra queste due famiglie, i ricchi e i poveri; i primi gentili e col sorriso ma, ammonisce il padre non si deve mai passare la «linea» e in questi servi c’è qualcosa che lo fa, il loro odore che li accomuna, uguale a quello che si sente in metropolitana sospira l’uomo. L’odore della povertà?

QUELLO di Bong – Parasite si vedrà in Italia, lo ha comprato Academy – è nelle sue intenzioni un cinema dichiaratamente politico in forme imprevedibili, commedia, farsa sanguinolenta, horror, fantasmi, comicità, tutto mischiato per dare forma al tempo presente, alla voracità di un capitalismo distruttivo e feroce che scava differenze e distanze sempre più profonde in una continua e spiazzante invenzione di cinema.

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