Paragone-Di Battista, la coppia dei perdenti che spera «nel nulla»
Movimento Cinque Stelle Nuova grana per Di Maio in vista delle regionali. Dibba si schiera col senatore espulso
Movimento Cinque Stelle Nuova grana per Di Maio in vista delle regionali. Dibba si schiera col senatore espulso
C’è nuova grana per Luigi Di Maio e per il Movimento 5 Stelle sempre più di governo e sempre meno di protesta. Fino a qualche giorno fa il «capo politico» grillino doveva fare i conti con una base parlamentare scontenta ma blindata dalla prevalente fedeltà alla maggioranza di governo. Adesso arriva l’asse per certi versi clamoroso tra Gianluigi Paragone e Alessandro Di Battista. È la prima volta che uno dei grillini di primo piano si schiera con un espulso.
Paragone è stato fatto fuori a ridosso di capodanno, per non aver votato la fiducia sulla legge di bilancio. Ha replicato inasprendo i toni, promettendo ricorsi «anche alla giustizia ordinaria» e dicendosi vero interprete del programma elettorale del M5S. Definisce il M5S attuale «il nulla» e trova una sponda di peso nell’ex parlamentare del M5S da sempre interpreta della linea più barricadera. Di Battista non gira attorno alla questione, riconosce a Paragone il pedigree 5 Stelle, la coerenza con l’identità originaria. «Gianluigi è infinitamente più grillino di tanti che si professano tali – scrive Di Battista su Facebook interloquendo con alcuni elettori – Non c’è mai stata una volta che non fossi d’accordo con lui. Vi esorto a leggere quel che dice e a trovare differenze con quel che dicevo io nell’ultima campagna elettorale che ho fatto. Quella da non candidato, quella del 33%». Il senatore espulso incassa e ringrazia: «Alessandro rappresenta quell’idea di azione e di intransigenza che mi hanno portato a conoscere il M5S: stop allo strapotere finanziario, stop con l’Europa di Bruxelles, stop con il sistema delle porte girevoli, lotta a difesa dei veri deboli, stop alle liberalizzazioni che accomunano Lega e Pd. Io quel programma lo difendo perché con quel programma sono stato eletto. Ale lo sa».
Di Maio cerca di frenare, dice che non bisogna rimpiangere il governo gialloverde perché «i conti si faranno alla fine». Altri grillini hanno ammorbidito di parecchio i toni e si sono messi al servizio della linea politica attuale. È successo a Danilo Toninelli e Paola Taverna, freddi con la nuova maggioranza fino a quando Beppe Grillo non ha ribadito la necessità di stare insieme al centrosinistra e loro sono stati cooptati nella squadra dei «facilitatori» nazionali. Fa eccezione l’ex ministro del Sud Barbara Lezzi: «Fino a quando, e sono certa che continuerà così, lavorerà senza sosta per i deboli, per assicurare un salario minimo decente, per fare in modo che le multinazionali osservino le leggi del nostro paese, Paragone resterà un mio collega».
L’asse Paragone-Di Battista è una bomba a scoppio ritardato innescata da quando il M5S ha deciso di legarsi a Conte contro Salvini e quando Conte ha a sua volta scelto la collocazione europeista. Lo fa capire il vicepresidente del parlamento europeo Fabio Massimo Castaldo quando, pur ponendo dubbi sulla tempistica dell’espulsione di Paragone, rimprovera a quest’ultimo di avere «una visione dell’Europa che semplifica ed estremizza troppo temi di enorme complessità».
Dopo le elezioni politiche, con il M5S primo partito e la Lega prima forza della coalizione di centrodestra, i grillini teorizzavano che la grande coalizione con Salvini servisse a ridisegnare il sistema a politico attorno a due visioni non sovrapponibili ma con un terreno comune: il sovranismo sociale del M5S e il sovranismo conservatore della Lega. Il caso Paragone, senatore grillino che rappresentava il trait d’union politico-culturale tra leghisti e 5 Stelle, e lo scambio di messaggi con Di Battista fa capire che l’ex direttore della Padania e il front man ambiscono a giocare la loro partita sia dentro che fuori i recinti sempre liquidi e malleabili delle truppe grilline. Sul lato sinistro dei fuoriusciti dal M5S si agita Lorenzo Fioramonti, passato al gruppo misto della camera. Fioramonti ha finora giocato una partita percepita da molti parlamentari come personale, dunque non è affatto scontato che la sua operazione generi un effetto calamita.
Il che è paradossale, visto il tasso di dissenso nei confronti di Luigi Di Maio. L’ex ministro ieri ha espresso ammirazione per la No Tav Nicoletta Dosio, finita agli arresti, e rilanciato «i valori di trasparenza, democrazia interna e vocazione ambientalista che hanno animato la nascita del M5S e che è come se si fossero persi nella pura amministrazione, sempre più verticistica, dello status quo» Ma un’argine lo ha messo Giuseppe Conte quando ha espresso assoluta contrarietà alla creazione di qualsiasi nuovo gruppo in suo nome.
Difficile che qualcosa si muova prima del test delle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria di fine mese, quando si misurerà lo stato di salute del M5S nei territori e si potrebbero approfondire le divergenze strategiche. Se il centrosinistra dovesse mostrarsi in grado di arginare l’avanza leghista, i grillini più fedeli alla nuova maggioranza si sentirebbero autorizzati a sperimentare nuove formule.
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