Scaduta martedì l’offerta vincolante di Ita a Alitalia con «offerta simbolica» per l’acquisto di 52 aerei – metà flotta – e parte degli slot di Linate (85%) e Fiumicino (43%), a ieri sera mancavano ancora conferme ufficiali sull’esito, nonostante si tratti di due società a totale capitale pubblico.

LA VERSIONE PIÙ ACCREDITATA sostiene che – paradosso dei paradossi – il via libera dei commissari Alitalia debba passare le forche caudine della commissione Ue per la concorrenza.

Insomma, Ita che sostiene di essere «in totale discontinuità» da Alitalia ha fatto un’offerta – si parla di 100 milioni – così sotto i valori di mercato da rischiare lo stop non da chi dovrebbe incassare – i commissari Alitalia che devono massimizzare gli utili per versarli ai creditori – ma da Margrethe Vestager, la commissaria europea alla Concorrenza che ha imposto alla stessa Ita di decollare nana e con un terzo dei lavoratori di Alitalia e potrebbe bloccarla per tutelare ulteriormente le altri grandi compagnie che si stanno già pappando rotte e clienti di Alitalia. Il tutto nel totale silenzio del governo e del Mef, azionista unico di entrambe le società.

LA QUESTIONE SAREBBE COMICA se di mezzo non ci fossero 8 mila lavoratori in esubero rispetto agli attuali 10.500 di Alitalia. Gli stessi per i quali ieri i sindacati hanno chiesto di unificare le due vertenze dando tutele per tutta la durata del piano industriale di Ita, che parte con soli 2.800 dipendenti e sosostiene di arrivare «al massimo» a 5.750 nel 2025.

Al tavolo al ministero del Lavoro convocato dopo la richiesta dei commissari di Alitalia di un anno nuova cassa integrazione per i propri dipendenti, Filt Cgil, Fit Cisl, Uilt e Uglt e Usb hanno denunciato «l’assenza di una cabina di regia con la partecipazione anche degli altri ministeri competenti: Mise e Mims (trasporti, ndr), spiegando che è stata anche richiesta la definizione di un programma di «mantenimento» delle licenze, abilitazioni e certificazioni e di un «progetto di riqualificazione» del personale tecnico di terra e di volo, «per agevolare e favorirne l’inserimento nel ciclo produttivo».

NATURALMENTE LA RICHIESTA è stata sintetizzata da chi considera i lavoratori Alitalia non come vittime della gestione dissennata di governi e manager ma come privilegiati con il diktat «servono quattro anni di cassa integrazione». Una sintesi volutamente forviante anche perché è il governo che per concederla dovrebbe intervenire con una norma ad hoc nel decreto Infrastrutture – nella bozza che circola prima del consiglio dei ministri c’è un articolo con il solo titolo «Norma Alitalia», senza contenuto – mentre i sindacati continuano a chiedere che il governo discuta con loro l’intera procedura di passaggio fra Alitalia e Ita, ad oggi totalmente opaca.

NESSUNA NOVITÀ UFFICIALE anche sul fronte dei primi licenziati nel passaggio fra compagnie: i 621 lavoratori Almaviva che forniscono da decenni il servizio assistenza call center per i viaggiatori Alitalia. Dopo la denuncia dei sindacati sulla delocalizzazione del servizio in Romania – smentita dalla vincitrice del nuovo appalto, Covisian – ci sono voci di convocazione del tavolo da parte del governo, ma come al solito nessuna certezza. Se i sindacati – con la loro denuncia – fossero riusciti a bloccare la delocalizzazione, sarebbe una buona partenza della vertenza. A differenza di quella di Ita.