«Vedi, puoi amare anche me, che sono tanto simile all’oggetto»: così – secondo quanto scrive Freud – parla il nostro Io, quando si rivolge al crogiolo di pulsioni contenute nell’Es. E’ una rappresentazione piuttosto disorientante quella con cui il padre della psicoanalisi riassume non solo il modo per elaborare una perdita, ma anche quella «nuova azione psichica» con cui nell’essere umano si mette in forma il narcisismo, quando l’Io assume i tratti dell’oggetto, costituendosi a immagine dell’altro corpo: come un tutto, una totalità (il corpo dell’altro, ma anche il proprio corpo come altro).

Con questa sua tesi, Freud provocava un’ennesima ferita al narcisismo dell’essere umano: l’Io, istanza soggettiva che si autoproclama coincidente con l’Individuo, il Soggetto, la Coscienza, il Sé, il Corpo (maiuscole d’obbligo)  scopre di non disporre di una energia propria e di poter funzionare solo proponendosi come oggetto d’amore per le proprie pulsioni: ovvero drenando, talvolta elemosinando, un investimento libidico da parte di quell’inconscio su cui poggia, ma che gli è estraneo, e di cui gli sfugge il controllo. Proprio perché in questa solidarietà strutturale con l’oggetto vede preclusa ogni possibile autarchia, l’Io si scopre vincolato inesorabilmente all’altro per ciò che riguarda la propria formazione e il proprio mantenimento.

Si apriva così la strada per pensare da un lato l’azione che l’altro – l’oggetto – può svolgere in questa «nuova azione psichica», favorendola, ostacolandola o pregiudicandola; e, dall’altro lato si inaugurava l’idea che l’Io in difficoltà possa essere spinto ad assicurarsi ad ogni costo, anche dispoticamente, un oggetto da asservire, oppure cedere alla «tentazione dell’autosufficienza» – scrive Salvatore Natoli – cioè presumere di sciogliere questo legame con l’altro, cancellandolo in un Uno che diventa Tutto. Oppure ancora, ricorrendo a un investimento pulsionale distruttivo e destrutturante, è possibile arrivare a una disoggettualizzazione, come la definiva André Green, cioè giungere a disfare sia l’oggetto sia l’Io, divenuto esso stesso un oggetto. Con una conseguente, ovvia, desertificazione soggettiva, che approda a un vuoto del pensiero, quando non al collasso della psiche, appiattita sul proprio substrato biologico e devitalizzata.

Proprio in quanto dimensione strutturale del funzionamento psichico, il narcisismo è al cuore di tanti malesseri e patologie attuali, individuali e sociali, come ribadisce il volume uscito da Cortina con il titolo Forme del narcisismo Teoria e clinica nella contemporaneità (pp. 360,  € 26,00) che inaugura la nuova collana curata dalla Società psicoanalitica italiana. A mo’ di prisma, anziché di superficie speculare come per il Narciso del mito, queste pagine mostrano i tanti colori e le varie forme in cui nei decenni il narcisismo si è rifratto nel pensiero psicoanalitico, così come lo hanno pensato e teorizzato le diverse prospettive aperte da autori come Bion, Rosenfeld, Green, Kohut, Lacan e non solo. Se queste diverse linee di ricerca si occupino dello stesso oggetto o meno è l’interrogativo posto da Roberto Musella che, con Alfredo Lombardozzi e Elena Molinari, ha curato il volume, raggruppando in cinque sezioni i contributi, tutti interessanti e problematizzanti, e permettendo così  di apprezzare a contrario il «gioco» che il narcisismo guadagna rifrangendosi nella teoria, e dunque andando controcorrente rispetto al mero riflettere la propria immagine. Contrariamente a quanto il narcisista lascia credere di sé, la sua apparente autosoddisfazione nasconde «fragilità» e un «abisso di solitudine».

Come già nel pensiero freudiano che lo legava all’originaria impotenza del piccolo d’uomo, infatti, da messa in forma dell’Io il narcisismo si è esteso a indicare l’area della prima formazione psichica nella relazione con l’altro, che come ha magnificamente illustrato Donald Winnicott, è colma di paradossi: ad esempio, l’incontro con la realtà nasce dall’illusione di creare il mondo man mano che lo si scopre, una illusione condivisa fra neonato e adulto, che contribuisce alla formazione di un senso di onnipotenza a rischio di slittare da dato di fatto originario, e a tutti comune, a china caratteriale.

Nel cogliere e interpretare  le diverse forme in cui il narcisismo può rifrangersi, il pensiero psicoanalitico ne individua il perno in quell’inconscio sessuale cui attinge sia in quanto elemento strutturante della vita,  che ha «pre-sente la presenza dell’altro» – scrive Sarantis Thanopulos nella prefazione – sia in quanto dato mortifero, in cui «la differenza è preclusa o negata, eliminata», e con essa il desiderio di cui solo può nutrirsi ogni emancipazione vitale dell’essere umano.