Papi, santi, beati. Neanche fosse la prima omelia di un nuovo vescovo, o il Parlamento di uno stato teocratico. Lorenzo Fontana non si è smentito nel suo primo intervento da presidente della Camera. Fino a strattonare Papa Francesco (cui rivolge il primo saluto) che «rappresenta un riferimento spirituale per la maggioranza dei cittadini italiani». Il cattolicesimo, dunque, torna come religione di stato (concetto superato già dal Concordato del 1984), non come una delle fedi degli italiani. E torna a maggioranza, come un riferimento che è non solo spirituale ma anche politico e soprattutto identitario.

DOPO IL PADRE POLITICO Umberto Bossi (siparietto tra i due in cortile con Salvini), il leghista cita il giovane beato Carlo Acutis («molti muoiono come fotocopie») e San Tommaso D’Aquino, cui attribuisce il concetto di «male come privazione del bene», che appartiene in prima battuta al pensiero di Sant’Agostino. «Sarà compito di noi parlamentari non privare del bene i cittadini ma lottare con umiltà, serietà e sobrietà» , dice il neopresidente, che glissa sulla guerra in Ucraina, dopo essere stato a lungo un putiniano militante.

UN DISCORSO MOLTO CENTRATO contro «l’omologazione che è uno strumento dei totalitarismi, delle imposizioni centrali sulle espressioni della volontà dei cittadini». «L’Italia deve dare forza alla propria peculiare natura, senza omologarsi a realtà estere o monolitiche e a culture che non diversificano», ha spiegato Fontana. «La diversità non è rottura, non è indice di superiorità di alcune realtà su altre viste erroneamente come inferiori, ma è espressione di democrazia e rispetto della storia». Un discorso da ideologo, e del resto Fontana è il teorico della svolta sovranista della Lega di Salvini, l’uomo di raccordo con i gruppi delle estreme destre europee fin dal 2013 (da Le Pen ai greci di Alba Dorada fino a Russia Unita di Putin), oltre che il patron del congresso mondiale delle famiglie del 2019 nella sua Verona, una sorta di fiera del peggiore campionario reazionario.

È lui l’autore della svolta teocon che ha spinto Salvini a presentarsi in tv con sfondi di madonne e crocifissi e a brandire rosari nei comizi (lui ne porta sempre uno in tasca). Per il passaggio sulle autonomie, cavallo di battaglia della Lega, Fontana ha utilizzato una citazione di Mattarella. «Il loro ruolo è decisivo: il pluralismo delle istituzioni e nelle istituzioni rafforza la democrazia e la società». Qualche perplessità sul volto di Giorgia Meloni, che poi lo benedirà frettolosamente: «Buona la prima anche alla Camera».

GELO DAI BANCHI DELLE opposizioni. Prima del voto Alessandro Zan con la giovane del Rachele Scarpa aveva alzato uno striscione in aula: «No a un presidente omofobo pro Putin». Neppure un applauso da Pd, sinistra e M5S, neppure alla fine, solo timidi cenni delle mani quando cita Francesco. Una accoglienza così fredda non era praticamente mai stata riservata a un presidente della Camera. Gelo anche quando Fontana ha detto cose ragionevoli, auspicando una «netta inversione di tendenza tra il potere normativo del governo e quello del Parlamento». E ha aggiunto che «dopo la parentesi imposta dalle emergenze, è necessario che il Parlamento riacquisti la consapevolezza della sua funzione costituzionale».

IN PIEDI INVECE TUTTA la maggioranza, ricompattata dopo lo sfregio di giovedì in Senato dove La Russa non è stato votato da Forza Italia. Fontana prende 222 voti, 15 in meno dei 237 di cui disponeva sulla carta. Probabile che i voti mancanti arrivino da Forza Italia, ma tra le 11 nulle ci sono stati alcuni voti ad «Attilio Fontana», governatore leghista della Lombardia. Probabile si tratti di leghisti lombardi, e del resto le faide tra veneti e lombardi fanno parte della storia della Lega. Le opposizioni ieri hanno deciso di votare candidati di bandiera, per contarsi ed evitare un altro soccorso alle destre nel segreto dell’urna. Nessuno sorpresa: la candidata del centrosinistra Cecilia Guerra ha preso 77 voti, l’ex procuratore antimafia Cafiero De Raho 52 voti del M5S e Matteo Richetti 22 da Azione e Italia Viva.

ENRICO LETTA, ASSENTE in aula al momento del discorso del neopresidente, è durissimo: «Peggio di così nemmeno con l’immaginazione più sfrenata. L’Italia non merita questo sfregio», twitta. Tra i commenti si registrano numerosi tweet del tipo: «È colpa vostra se siamo arrivati a questo punto». Ma Letta non si scompone: «Ci hanno raccontato per tutta la campagna elettorale che ci sarebbe stato moderatismo, continuità e scelte nell’interesse del Paese. Il voto alla Camera sposta l’Italia sempre più lontano dal cuore dell’Europa. Il primo ad essere contento sarà Putin».

Tra i dem si alzano le barricate: «Fontana non ha neppure la parvenza di una figura di garanzia», dice Andrea Orlando. «È un estremista, per me non può rappresentare l’interezza della Camera dei deputati», il benvenuto dell’ex presidente Laura Boldrini. «Fa rabbrividire, vede nella Russia di Putin il modello di società a cui ispirarsi», attacca Lia Quartapelle.«È l’erede diretto della Santa Inquisizione», taglia corto Michele Emiliano.

Lorenzo Guerini esce dal coro e gli augura buon lavoro. Anche Conte, che ha avuto Fontana come ministro della Famiglia nel suo primo governo, usa il fair play. Tra i dem intanto si fa strada l’idea di votare come vicepresidente a Montecitorio proprio Zan, come antidoto a Fontana. Ma la suggestione pare destinata a scontrarsi con gli appetiti dei big.