Cultura

Papaveri, ginestre e calanchi: attrazioni fatali e plurali

Papaveri, ginestre e calanchi: attrazioni fatali e plurali

«Disperato erotico sud», un'antologia di racconti edita da Rubettino

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 13 settembre 2024

Sono conciliabili erotismo e disperazione? In questa domanda sta la chiave magnetica dell’antologia di racconti Disperato Erotico Sud (Rubbettino, pp. 268, euro 18), che ha messo insieme autori e autrici, più o meno noti (Andrea Di Consoli e Raffaele Nigro, solo per citarne alcuni), meridionali, prevalentemente lucani, legati dalla convinzione che talvolta proprio la disperazione possa essere sorgente di indomabile attrazione come il profilo di un scoglio sulla superficie del mare nel racconto di Carmen Cangi. La visione erotica del Sud è innanzitutto colorata. Come dichiarano subito i curatori, Giampiero D’Ecclesiis, Angelo Parisi, Biagio Russo e Mimmo Sammartino, i ventiquattro racconti sono filtrati secondo il colore, il rosso della carne, l’inferno; il verde del sentimento, il paradiso; il giallo del peccato senza condanna, il purgatorio. Sono i colori stessi del paesaggio osservato, tra papaveri, ginestre, girasoli, calanchi e pratoni. Storie boccaccesche, memorie di amori perduti e amplessi occasionali e sudati, corpi mozzafiato e baci perfetti, ibridazioni dialettali e modernità senza radici, riscopriamo una versione dell’identità meridionale in bilico tra Vitaliano Brancati e Piero Chiara (non a caso con ascendenze sudiste), dentro atmosfere cinematografiche da commedia all’italiana.

È VERO CHE MANCANO PEZZI importanti di Sud, ma non si può negare che esistano luoghi e metafore che identificano un’area geografica e una civiltà più ampie. In questa raccolta, virtualmente, ci sono tutti. Stupisce che al paradiso sia abbinato il colore verde. Ci piace pensare che sia perché in mente i curatori hanno il paradiso terrestre. Manca, infatti, il bianco, variante luminosa del nulla avrebbe detto Giorgio Manganelli. Così come degradano la luce e l’estate. Principalmente per merito delle autrici, in questo racconto collettivo del Sud si respira un’aria di liberazione. Questa non è più (solo) la terra dell’estate, della luce e della taranta. Siamo stati liberati finalmente dall’etnografia.
Questo sole picchia ma non scalda, dice Anna nel racconto di Roberta Luongo. Hai ragione, si potrebbe rispondere: è come un vecchio teppista di paese, ci gira intorno senza volerci. Angoscia e vuoto, e solo quattro ore di buio, ecco cosa resta d’estate.

NON SOLO non ci sono risposte, mancano pure le domande. La ragione è che in questo Sud, nell’ombra provocante della controra, si muove a piedi nudi la vita vera, senza aggettivi o definizioni. Il titolo del libro gioca con quello di una famosa canzone di Lucio Dalla. Chissà se questo disincanto del corpo e della mente sia l’unico modo per evitare una narrazione onanistica e provinciale dell’identità meridionale. Certo è che le mutande nere appese nel campanile della chiesa di San Rocco del racconto di Domenico Dara non sono crocifisse ma issate come la vittoriosa bandiera di piratesse liberate.

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