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Paolo Nespoli racconta lo spazio

Paolo Nespoli racconta lo spazioPaolo Nespoli

Incontro Il famoso astronauta italiano racconta come si avverano i sogni, da costruire con estrema precisione

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 27 aprile 2019

Probabilmente l’astronauta italiano più famoso, Paolo Nespoli ha visitato la mostra pochi giorni dopo l’inaugurazione ed ha incontrato il folto pubblico pisano in un incontro durato 2 ore. In linea con i contenuti divulgativi della mostra, Nespoli, che è anche il più mediatico dei nostri astronauti, ha raccontato in lungo e largo la sua carriera, la sua esperienza di astronauta, lo scopo delle missioni alle quali ha partecipato e moltissimi aneddoti spaziali.

Paolo Nespoli ha 62 anni e ne ha passati in totale uno nello spazio, ma come ama ripetere, è “un astronauta con la a minuscola”. Arriva in ritardo a Palazzo Blu, ma subito si mostra affabile e scherzoso «Occorrono 8 minuti e mezzo per partire dalla terra e arrivare in orbita, io ho impiegato 24 ore per arrivare da Houston, ma l’importante è che sia qua».

Per rispondere alla prima domanda di rito, ovvero come si diventa astronauti, si alza dal tavolo e conquista il podio.

«A proposito di irrequietezza, qua in piedi mi sento molto meglio…Sì, ho avuto la fortuna di vedere in tv le prime immagini dell’uomo sulla luna e ho sognato di farlo anch’io un giorno, ma venivo da un paesino della Brianza, dove tutti, soprattutto mia madre, si aspettavano che entrassi a lavorare in fabbrica a fare l’elettricista. Nessuno capiva il mio essere un po’ come un Siddartha, in continua ricerca. Finito il liceo ho fatto pochi mesi di Politecnico a Milano, ma poi è arrivata la cartolina e sono venuto a fare il militare proprio qui, a Pisa, dai paracadutisti. Tutti mi mettevano in guardia di fronte alla ferrea disciplina che vigeva in caserma, ma io mi trovai benissimo, e piuttosto che tornare a casa, diventai sottufficiale dell’esercito e più tardi incursore; passai anche un anno e mezzo nel contingente italiano di pace in Libano, fino a che qualcuno mi chiese cosa volessi fare da grande. In quel momento confessai a me stesso che volevo fare l’astronauta. Avevo 26 anni, sapevo che di lì a tre anni sarebbe uscito il bando di concorso e che per potervi partecipare occorrevano 3 cose: una laurea tecnica, l’inglese e un fisico normale. Mi mancavano le prime due: andai negli Stati Uniti a studiare ingegneria e a imparare l’inglese. Tornai nel ’90 e provai il primo bando di concorso, senza essere selezionato. Dopo poco uscì un bando dell’Agenzia Spaziale Europea per un ingegnere che addestrasse gli astronauti. Sembrava fatto per me. Era il 1991 e iniziai così a lavorare per lo spazio».

Ma quanto appreso non si scorda e Nespoli, che era stato fotografo negli incursori in Libano, nelle sue missioni ha portato la sua macchina fotografica con sé: alcune delle sue foto sono esposte nella mostra e il suo contributo fotografico alla documentazione dei viaggi spaziali è in questo senso innegabile.

«Mi piace fare foto per il semplice fatto di catturare dei momenti. Certo, fare le foto dallo spazio è facile, da lassù è tutto meraviglioso. Nella prima missione ho fatto 27mila foto, nella seconda 500mila. E infatti alcune erano belle! Uno va su, alla Cupola-un finestrone hi tech di fattura interamente italiana che si affaccia a 360° all’esterno- e inizia a scattare. Ho riempito tutti i computer di bordo e tutte le schede di memoria, e mi aspettavo che Nasa mi chiamasse da terra per dirmi di darci un taglio. Invece quando sono sceso, il timore di essere ripreso dall’equipe Foto e Tv, è subito svanito: avevano contrattato due persone per scaricare le foto, ma non mi avevano avvisato, perché le foto erano insolitamente diverse da quelle precedenti e valeva la pena lavorarci».

Certo è strano pensare che nello spazio si scattino foto proprio come sulla terra…

«È una condizione estrema, ma tecnologicamente ibrida, quella spaziale: se è vero che lavoriamo con tecnologie innovative, è anche vero che è un luogo molto conservativo: la memoria dei computer dello Shuttle è di soli 32 kB perché cambiare un computer lassù è come fare un’operazione a cuore aperto, inoltre tutti i laboratori, i centri di simulazione a terra devono avere una configurazione identica. Capita di avvalersi di strumenti anche datati, ma che possano garantire funzioni certe e condivise».

Nespoli poi dedica un po’ di tempo e molta ironia, alle proverbiali differenze tra l’approccio americano e quello russo, ricordando che lo Shuttle non vola più.

«È una macchina incredibile, ma non credo che avrebbero potuto progettarla in modo più complicato. Proprio al contrario della Soyuz che sembra assemblata in un garage, tanto spartana che viene da chiedersi se funzionerà. La precisione millimetrica e ossessiva americana, contro la tecnologia russa, molto più rustica. Pensate che quando si vola con lo Shuttle che è praticamente un aliante, si deve rientrare nell’atmosfera con un’inclinazione di 30° esatti ed andare ad atterrare a Capo Kennedy in un punto molto preciso, che permette un errore di 100 mt, fuori dai quali sei morto. Nel caso della Soyuz non esiste un angolo di rientro: la navicella è disegnata per girare su se stessa mentre scende e può atterrare ovunque: per i russi un atterraggio è perfetto se la navicella rientra ad almeno 20 km dal punto preposto. A noi piace disegnare le cose complesse ed esteticamente riuscite, ma dobbiamo stare attenti quando disegniamo macchine, perché meno cose ci sono dentro, più il progetto è semplice, meno è soggetto a danni e guasti. In generale noi europei potremmo contare di più sulla nostra creatività».

E per quanto riguarda le relazioni tra astronauti e cosmonauti negli spazi angusti e isolati della ISS, Nespoli taglia corto. «Non esistono più i problemi di quando sulla MIR-la prima stazione spaziale russa- gli americani non parlavano la lingua degli ospiti…molte cose sono cambiate: abbiamo internet, possiamo fare una videochiamata a casa una volta settimana-perché la lontananza è dura anche da lassù-e addirittura Hollywood ci manda i film in anteprima! Ma soprattutto, lavoriamo tutti sodo a qualcosa di molto importante per noi e per la terra: questo ci unisce e ci motiva».

 

La mostra

Il prossimo 20 luglio si celebreranno i 50 anni dalla storica notte in cui il mondo si fermò per ammirare il primo passo di Neil Armstrong sulla Luna. Certo la storia dei viaggi spaziali era iniziata prima, ma la concretezza di quel passo piccolo per l’uomo e grande per l’umanità, l’impronta dello stivale dell’astronauta sul suolo lunare, ha lasciato un segno indelebile nell’immaginario collettivo. La mostra Explore-sulla luna e oltre, curata da Marco Cattaneo e organizzata da National Geographic con il patrocinio dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e dell’European Space Agency (ESA), inaugurata il 22 marzo al Palazzo Blu di Pisa, mostra che festeggia il mezzo secolo dall’allunaggio, non si limita al racconto della missione dell’Apollo XI; è piuttosto un lungo e affascinante percorso che tocca le tappe salienti della storia delle missioni spaziali, del rapporto tra l’uomo e lo spazio, mediato dalla scienza e dalla tecnologia. Le foto dei primissimi cosmonauti, dalla celebre e mai rientrata cagnetta Laika, a Yuri Gagarin, primo uomo a compiere un’intera orbita attorno al pianeta blu, e Valentina Tereskova, la prima donna, che ne compì 49 solo due anni dopo, nel 1963, sono solo le prime di una lunga serie, che vanta ovviamente anche glorie nazionali, come Luca Parmitano, che tornerà nello spazio quest’anno e Samantha Cristoforetti. Di grande impatto anche le immagini mozzafiato di pianeti, nebulose e galassie, riprese da Hubble Space Telescope e altri telescopi, i video girati all’interno della ISS (la Stazione Spaziale Internazionale) e le foto di Marte, con i suoi crateri e i suoi laghi ghiacciati, scattate da un totale di 22 sonde, lander e rover che sono scesi in questi anni sul pianeta rosso, considerato da tutti la nostra prossima importante destinazione. La mostra è una lunga passeggiata didattica tra le scoperte e le invenzioni scientifiche applicate alla ricerca spaziale degli ultimi 50 anni, e comprende anche riproduzioni e modellini in scala: grazie al materiale variegato, l’esposizione è capace di coinvolgere grandi e piccoli, addetti ai lavori e non, di arrivare quindi al vastissimo pubblico, che potrà visitarla fino al 22 luglio.

 

 

 

 

 

 

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