Paolo Gentiloni deve restare premier, e «non solo nel breve termine». La propria ricetta per l’Italia dopo il 4 marzo in questo ultimo scorcio di campagna elettorale non la nega nessuno, senza neppure bisogno di attendere richiesta. Ma quello di Giorgio Napolitano non è un parere tra tanti, sia per la fonte dal quale proviene, sia per la formula fredda e calibrata che il sovrano non regnante ha scelto di adoperare: «Gentiloni è diventato punto di riferimento per il futuro prossimo, e non solo nel breve termine, della governabilità e stabilità politica dell’Italia».

Chi parla in termini così perentori non è solo un anziano senatore a vita. È a tutt’oggi uno degli uomini politici più influenti d’Italia, il cui parere spesso rispecchia e quasi sempre condiziona quello del successore Sergio Mattarella. È anche, nonostante l’età, il principale punto di riferimento dell’establishment europeo in Italia. Si può stare certi che se Napolitano si espone tanto apertamente, è sicuro che a Bruxelles le sue parole saranno salutate con viva approvazione. Del resto non è un caso che un altro grande vecchio a cui l’età non ha sottratto rapporti e peso politico, Eugenio Scalfari, si muova sulla stessa lunghezza d’onda, pur senza citare apertamente il conte Gentiloni.

La prolusione dell’ex capo dello Stato a Milano, in occasione della consegna del premio Ispi 2017, non si ferma qui. Gli elogi dei quali Napolitano copre il premier sono altrettante stilettate inferte a Matteo Renzi. L’allusione è evidente quando il sovrano loda «l’attitudine all’ascolto e al dialogo» del pupillo, quasi altrettanto quando si complimenta per «il ristabilimento di rapporti costruttivi e fecondi con gli alleati europei», diventa un sonoro ceffone quando segnala che il conte è riuscito «a conquistare una limpida e motivata fiducia tra gli italiani». Non sono coltellate vibrate solo in nome del passato, della cocente e non nascosta delusione che il ragazzo di Rignano ha rappresentato per re Giorgio.

Napolitano conosce i propri polli e sa perfettamente che il segretario del Pd non si è affatto rassegnato all’idea di rinunciare al suo obiettivo, palazzo Chigi, per lasciare insediato il suo ex ministro degli Esteri. Non a caso Renzi evita di indicare direttamente Gentiloni nascondendosi dietro una delle formule reticenti nelle quali eccelle: «Siamo una squadra e siamo tutti in campo». Con quel tanto di perfidia che non gli ha mai fatto difetto, Napolitano specifica che invece in campo deve esserci un nome solo, con la squadra a sostenerlo.

Le parole di Napolitano però indicano qualcosa in più che solo il nome del prossimo premier. Tra le righe si legge anche un’ipotesi precisa, spiattellata invece senza perifrasi da Scalfari, che dell’ex presidente è peraltro intimo. Il Paolo Gentiloni al quale allude Napolitano, infatti, non è il capo di un governo espressione dell’accordo tra Pd e Fi. È il prescelto per guidare un governo del presidente, quanto più in continuità sarà possibile con quello attuale. Non a caso proprio ieri Gentiloni ha notificato al Copasir l’intenzione di confermare per decreto i vertici dei servizi segreti. Il che per un premier che dovrebbe essere uscente e che dovrebbe nel caso essere confermato da una nuova maggioranza politica, quale sarebbe quella Pd-Fi, è quanto meno inusuale.

In effetti i diretti interessati, Renzi e Berlusconi, negli ultimi giorni si sono sbracciati per assicurare che all’orizzonte non c’è alcuna intesa possibile, né larga né striminzita. Il Nazareno, giurano entrambi, è solo un caro ricordo. Però lo fanno pescando a man bassa nel repertorio delle piccole furbizie verbali che nella politica italiana non mancano mai. In tv, martedì sera, Renzi ha assicurato che lui un governo con Lega e FdI non lo farà mai. E Berlusconi? «Mica siamo a Beautiful: si sono appena messi insieme, non possono lasciarsi subito!». Ieri, dai microfoni di Circo Massimo, si è prodotto in un’altra acrobazia: «Berlusconi in questa fase ha ragione quando dice che è inutile pensare a larghe intese con il Pd». In effetti «in questa fase», a dieci giorni dalle elezioni, parlare di alleanze sarebbe controproducente per entrambi.

Tuttavia l’ipotesi della maggioranza Pd-Fi arretra davvero ogni giorno di più, non per la ritrosia dell’uno o dell’altro tra gli ex soci del Nazareno ma perché i sondaggi, impietosi, insistono con vaticini infausti. I numeri, anzi i seggi, non ci saranno probabilmente. Cosa succederà a quel punto lo ha anticipato ieri Giorgio Napolitano.