Paolo Bertetto, docente di Analisi del film e autore di due romanzi, Cuore scuro e Autunno a Berlino scrive a proposito del suo ultimo lavoro: «È un romanzo di ampie dimensioni, formato da vari segmenti e da materiali eterogenei. (…) È un romanzo storico, innanzitutto, ma è insieme un racconto sentimentale e un romanzo filosofico, un noir e un dramma esistenziale, un romanzo etico e una spy story».
La sua ultima creazione, Odio senza fine (Mimesis, pp. 544, euro 36,00), è ambientata nell’Europa degli anni Trenta e Quaranta: un libro denso e voluminoso che ricostruisce attraverso una serie di personaggi eterogenei la situazione dell’Europa durante l’ascesa di Hitler e Stalin prima della grande sconfitta tedesca nell’ultima guerra.

Violenza morale
Se il titolo fa pensare a un recente romanzo di Nicola Lagioia, La ferocia, vincitore qualche anno fa dello Strega e ambientato nell’Italia contemporanea (e forse mai un titolo fu più calzante e indicativo di un’epoca), qui l’idea dell’odio che pervade la società dalle sue radici e via via fino ai suoi vertici diventa una chiave di lettura che non è solo politica ma anche morale, e, con il contributo dell’indigenza economica, porta alle estreme conseguenze la distruttività insita in un’ideologia autoritaria e violenta.

Ciò che colpisce maggiormente chi legge, e che rende il libro abbastanza diverso da ciò che nel tempo è stato pubblicato sull’argomento, è forse l’evidenziazione della fragilità psicologica sulla quale Hitler aveva costruito la grande macchina organizzativa del nazismo, all’epoca apparsa solida e invincibile per le regole e la disciplina che la caratterizzavano, per la rigidezza dei ruoli e delle mansioni, per la violenza senza appello dei comportamenti e la cancellazione radicale di qualsiasi forma di cedimento e di umanità.

Gli anni ’30 in Germania sono anche gli anni del grande sviluppo industriale, del trionfo della meccanizzazione, della rimozione di tutto ciò che aveva caratterizzato la vita psichica e sociale del secolo precedente, ed è come se la tecnica avesse preso il sopravvento inculcando in una società già predisposta all’ordine e alle differenze stabilite della vita sociale una specie di fede nella meccanicità e nella gerarchia dei ruoli il cui rafforzamento avrebbe potuto garantire la solidità dello Stato.

Non a caso la figura dell’automa popola molti film tedeschi degli anni ’20, da Caligari a Metropolis, mettendo certo debolmente in guardia il pubblico sulla deresponsabilizzazione che il meccanicismo porta con sé. Quando a guerra finita Eichmann, come imputato, protesta la sua «onestà» di funzionario del Reich, non fa che mettere sotto gli occhi del mondo l’assenza dell’uomo dietro la sua funzione.
Alle spalle di ogni automa c’è poi sempre un deus ex machina che dirige le azioni della sua creatura ed esercita misteriosamente la sua forza negativa. Nel libro di Bertetto il personaggio che sembra tenere in pugno il Fürer è il mago Kannen, figura realmente esistita che in questo caso rivela la fragilità su cui si fonda la monumentale costruzione del l’apparato nazista.

Kannen basa il suo successo sull’illusione del pubblico e dello stesso Fürer, al quale predice un grande successo tacendone i successivi sviluppi negativi che verranno con la perdita della guerra. La personalità paranoica e inconsistente di Hitler, la sua superstizione, il suo delirio di onnipotenza, la sua misoginia, affiorano soprattutto nel rapporto con Kannen, di fronte alle cui capacità di veggente e di illusionista Hitler diventa mite e dipendente in maniera infantile, perdendo per l’occasione la sua autorità e il suo potere.

Da un polo all’altro
Dall’altra parte dell’Europa, con un’ideologia opposta ma altrettanto violenta e aggressiva, agisce Stalin, ex membro dei servizi segreti dello zar, che con nomi diversi ha cancellato il suo passato e via via si libera di tutti coloro che, conoscendo le sue origini, possono intralciare la sua ascesa e il suo potere. Nel suo caso la follia distruttiva è molto più astutamente celata da un’ideologia di sinistra, ma le purghe, i campi «di lavoro» e lo spionaggio fanno a gara con i metodi tedeschi di prevaricazione e di sterminio.

Tracce indelebili
Dal vertice delle due parti contrapposte dell’Europa la peggiore delittuosità si espande a tutti i livelli della società, favorendo la delazione, il terrore, la prepotenza e il sadismo. I molti personaggi collocati in diversi ambienti della società tedesca portano nelle loro storie le tracce indelebili di una disgregazione dei valori che determinerà i loro tragici destini.
Nella parte iniziale il libro presenta ciascun personaggio nel suo contesto, spesso in un momento decisivo per la sua vita, che coincide con quello capitale per la Germania della nomina di Hitler a cancelliere: il 30 gennaio del ’33, a Berlino. Con pochi tratti ciascuno di essi è descritto separatamente nel suo ambiente con i suoi problemi e le sue incertezze, che in qualche modo riflettono l’atmosfera di rischio e di precarietà già creati dal nazismo negli anni che precedono l’investitura di Hitler.

Le loro collocazioni sociali sono molto diverse e vanno dalla giornalista Annelore, in procinto di separarsi dal marito per dedicarsi ad una ricerca sul passato oscuro del Fürer al sottoproletario Franz Farner, ex falegname divenuto barbone per il fallimento della ditta in cui lavorava, ad un ragazzino paranoico, Benjamin, che avverte misteriosi dolori inesistenti, alla ballerina Frieda che lavora in un locale notturno e si prostituisce per arrivare a sopravvivere, a Karl, violento maniaco sessuale con un occhio di vetro che freme dal desiderio di realizzare la sua fantasia più perversa, quella di uccidere una donna. Denner è un medico che s’interessa di politica e caldeggia un ritorno all’antica Grecia, non quella però della classicità ateniese «dialogante e apollinea», ma quella più antica di Sparta e del mondo dorico, fondata sulla forza, un mito che la gioventù del momento aveva abbracciato con l’ambizione di un nuovo futuro. C’è poi Ferdy, direttore di un giornale moderato, sposato con due bambine ma innamorato di Selene, che vorrebbe lasciare la famiglia per l’amante ma non si decide e soffre di questo dilemma insanabile mentre il suo giornale, di un editore ebreo, perde i lettori ormai orientati alla «novità» dell’hitlerismo.

C’è poi la coppia formata dal musicista Aaron e da Rebekka, indecisi se vivere un’unione quieta a Trieste o restare nell’eccitante Berlino dove Aaron ha più possibilità di carriera, anche se il suo essere ebreo rappresenta un handicap. Ancora un personaggio interessante è Feldbin, ebreo e comunista bielorusso che lavora come agente speciale bolscevico a Berlino, che alla fine del libro incontrerà a Zurigo Olga, una psicanalista armena che precedentemente aveva dato informazioni su Stalin ad Annelore, interessata a scrivere anche di lui.

Echi di Döblin
Lo stile del libro mescola scritture diverse a seconda delle storie, strizzando un occhio alle Avanguardie Storiche e richiamando per certi versi il grande romanzo di Döblin: Berlin Alexanderplatz, dal quale Fassbinder trasse 14 memorabili puntate per la televisione tedesca.
A proposito di Döblin egli scriveva: « straordinario è semplicemente il modo in cui viene raccontato il mostruosamente banale e l’incredibile. È l’atteggiamento verso i personaggi della storia, perché l’autore da un lato li mette squallidamente a nudo e dall’altro insegna al lettore a sentire la più grande tenerezza per queste creature così crudamente esposte nella loro mediocrità, e gli insegna alla fine ad amarle».
Riusciranno i personaggi di Odio senza fine a farsi amare altrettanto? Il giudizio è ora lasciato ai lettori.