Visioni

Paolo Angeli nella babele dei Radiohead

Paolo Angeli nella babele dei RadioheadPaolo Angeli

Musica Uno dei progetti più interessanti dell'anno appena concluso, ad opera del virtuoso chitarrista gallurese

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 10 gennaio 2020

Uno che la storia della musica altra la mastica da anni con rigore, libertà ed un talento cocciuto da artigiano visionario è Paolo Angeli, che con 22.22 Free Radiohead ha fatto librare in aria i temi della band di Oxford per portarli a spasso in un mare immaginario e reale, in un perfetto esperimento di avant folk globale, ennesima conferma dell’alta ispirazione che muove le mani, il cuore e la testa del chitarrista gallurese. Free Radiohead dimostra tutto il suo talento, la vastità di orizzonti e la babele di linguaggi della sua chitarra parlante: da Palau porta in giro per il mondo un suono futuribile ed ancestrale, unico.

Come funziona il suo strumento, come nasce l’idea di costruirlo?

È un punto di sintesi tra violoncello, chitarra e batteria. con un set di martelletti, simili a quelli del pianoforte. Poi ci sono eliche, tre set di corde , diversi ponti mobili per ottenere timbriche simili al basso fretless, al koto e alla kora. L’idea nasce per caso a Bologna degli anni ’90, tra le aule del DAMS occupato, la bottega dell’ artigiano Francesco Concas e del falegname Romano Scanferla. Erano anni in cui gravitavano in città musicisti come Fred Frith e Jon Rose. Per la realizzazione del secondo prototipo (tra cui una copia commissionata da Pat Metheny) è stato invece determinante il ruolo del liutaio Giancarlo Spaziani, un artigiano all’antica, che dialogava con il legno.

La sua è una chitarra sarda preparata: qual è il suo rapporto con la tradizione sarda?

Dal 1993 non ho mai perso una settimana santa, vissuta a stretto contatto sopratutto con gli straordinari cantori di Cuglieri e Castelsardo. Per dieci anni ho fatto bottega con Giovanni Scanu, da cui ho appreso tutto il repertorio del canto a chitarra gallurese e logudorese: è stato come avere accesso ad una miniera. Mi muovo dentro la tradizione popolare da tempo ma solo da poco ho trovato una chiave che mi convince per utilizzare la matrice sarda in chiave contemporanea.

Da diversi anni lei vive a Barcellona e tiene più concerti all’estero che in Italia. Qual è il suo sguardo sul nostro paese visto da fuori, dal punto di vista sia musicale che politico?

Stendo un velo sull’ondata di neofascismo sdoganata quotidianamente nei social e mi concentro sulle isole felici. Appoggio la resistenza delle realtà di produzione culturale che portano avanti la musica creativa, trasversalmente tra i generi – e per fare qualche esempio vorrei citare il circolo H di Latina, il Clandestino di Faenza, Area Sismica o il CSC di Schio – e constato che il sistema premia i grandi colossi. Come accade nel mondo dell’artigianato, anche in musica le piccole realtà sono quelle che maggiormente alimentano il fare cultura, lontano dai carrozzoni da milioni di euro di budget.

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