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Paola e Silvia Scola, lessico famigliare

Paola e Silvia Scola, lessico famigliare

Il libro «Chiamiamo il babbo», Rizzoli

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 9 maggio 2020

Sin dalle prime pagine si capisce subito che Paola e Silvia non hanno affatto l’intenzione di dedicare al padre Ettore Scola una di quelle biografie-monumento intinte nell’inchiostro dell’agiografia più spudorata. Niente di tutto questo, se fin dall’inizio accanto al lato solare dell’uomo spiritoso pronto al sorriso non dimenticano il lato lunare della serietà e dell’intransigenza, senza trascurare il maniacale perfezionismo, lo stacanovismo del negriero, l’imbarazzata timidezza che sotto i riflettori diventa arroganza. Se non vi sembra che basti, aggiungete pure che, secondo loro, era testardo, narcisista, vanitoso, seduttore. Altro che «il regista in cravatta», di cui parlano le cronache per la sua abitudine di girare i film in giacca e cravatta e stando sempre in piedi, qui – ridendo e scherzando – siamo al regista in ciabatte, colto nell’ottica impietosa e denigratoria della privacy domestica.

La chiave del libro sta proprio nella scelta di raccontare la storia familiare di Ettore, ma anche tutti insieme appassionatamente di Gigliola, Paola, Silvia. E di Irene, la donna di servizio capoverdina che una volta alla settimana apriva la porta dell’abitazione di via Bertoloni a una processione di amiche, sorelle, zie, cugine, che cantavano le canzoni di Bana, il loro idolo creolo prima di mangiare tutte assieme la cachupa, mentre Ettore passando dice: «Tenetemene un po’». L’affollata storia di famiglia, con il suo lessico di modi di dire, da «Chiamiamo il babbo» a «Vicino alla valige», e la fittissima galleria di personaggi, a partire dal vulcanico e perennemente indignato Sergio Amidei. Della famiglia allargata fa parte anche Furio Scarpelli, sempre all’avanguardia, il più giovane di tutti. Pieno di idee e di dubbi, soprannominato «Furio il cavillo selvaggio». E Age, meticoloso e inventivo, pedante e puntiglioso, con la vocazione a mettere ordine nell’effervescente caos creato dagli altri. Ma anche l’avvocato Giovanna Cau, detta «Apocalypse Cau», e gli amici di sempre Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni. A cui si è aggiunto più tardi Massimo Troisi. Il set e la vita privata si confondono di continuo in più di sessant’anni di attività, dalle innumerevoli sceneggiature scritte con Ruggero Maccari al passaggio alla regia.

Nei primi giorni di lavorazione di «Una giornata particolare» la lunga telefonata di Ettore a Sophia (quasi una master class di recitazione?) interrompe il pranzo, mentre le polemiche feroci su «Brutti, sporchi e cattivi», per il quale viene tacciato di razzismo, rimbalzano a più riprese tra le mura di casa. La fatica maggiore coincide con «Il mondo nuovo», che si rifà esplicitamente alla diligenza del fordiano «Ombre rosse», non solo per il complesso intreccio tra storia e Storia, ma anche perché durante la lavorazione la difficoltà di alcune soluzioni tecniche, brillantemente risolte nel film di più di quarant’anni prima, si risolve nella memorabile battuta: «Telefonàmo a Ombre rosse!».
Se Paola e Silvia non nascondono il loro amore per «Dramma della gelosia», scintillante di invenzioni linguistiche, o per «Brutti, sporchi e cattivi», misconosciuto capolavoro sulla ferocia della miseria , non risparmiano neppure le perfide frecciate senza appello. Solo loro potevano dirgli, suscitando la sua irrefrenabile risata, che la trilogia con cui aveva esordito come regista, quella di «Se permettete parliamo di donne», «La congiuntura», «L’Arcidiavolo», era una stronzata assoluta (pp. 286, euro 19,00)

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