Pane, cozze, caffè: ma che truffa
Contraffazioni Il crimine alimentare è un business: aumentano fatturati e sequestri. Sarà pure il tema dell’Expo, ma su questo fronte restiamo deboli. Il dossier Cgil
Contraffazioni Il crimine alimentare è un business: aumentano fatturati e sequestri. Sarà pure il tema dell’Expo, ma su questo fronte restiamo deboli. Il dossier Cgil
E proprio nel paese dell’Expo 2015 – tema la qualità del cibo – le contraffazioni abbondano. Il Rapporto su Agromafie e Caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto presenta un’interessante disamina dei casi più eclatanti di truffe alimentari, spesso organizzate dalla criminalità. Bufala, pane, caffè, pesce, olio, pomodori: «un menù per tutti i gusti», lo slogan scelto dalla Flai Cgil per il dossier-denuncia.
Intanto qualche dato: secondo l’Ocse dal 2000 al 2007 il commercio di prodotti contraffatti, e il relativo fatturato, sono aumentati del 150%. Solo in Italia, negli ultimi 10 anni, secondo la Commissione parlamentare d’inchiesta su questo fenomeno, siamo al +128%: il giro d’affari del cibo «truffaldino» sarebbe di 1 miliardo di euro, pari al 16% sulla totalità dei prodotti contraffatti. Molto più ampio invece il fatturato delle agromafie: ben 12,5 miliardi di euro, secondo il rapporto dello scorso gennaio della Direzione Nazionale Antimafia.
Per questa ultima cifra, il riferimento è all’intera filiera: ovvero il controllo che le organizzazioni criminali esercitano su produzione, arrivo delle merci nei porti, mercati all’ingrosso e grande distribuzione e confezionamento.
Torniamo però ai casi di contraffazione alimentare del made in Italy. Come detto, nel nostro Paese siamo intorno a 1 miliardo di euro di fatturato. Ma se ci riferiamo ai prodotti alimentari italiani nel mondo, quello che dovrebbe essere il nostro fiore all’occhiello, secondo i dati del ministero dello Sviluppo la fatturazione del contraffatto sale a ben 60 miliardi di euro. Un terzo circa del fatturato dei prodotti originali: si tratta del cosiddetto Italian sounding, cioè l’utilizzo di etichette e simboli che evocano l’italianità ma che in realtà di italiano non hanno nulla. Come dire: ci sarebbe lo spazio potenziale per ben 60 miliardi di euro per i produttori italiani, che oggi ci vengono «soffiati» da chi si millanta come tale.
In Italia, c’è il caso del caffè di cattiva qualità imposto dal clan Vollaro ai bar napoletani e dalla mafia a quelli siciliani. Caffè Nobis e Caffè Floriò: i bar erano costretti comunque a comprare prodotto di qualità per non perdere la clientela. Da Brindisi invece, la Sacra Corona Unita impone insieme al caffè pessimo anche slot truccate.
In Provincia di Caserta le frodi riguardano la mozzarella di bufala: l’azienda Mandara ad esempio è sotto processo perché secondo la Dda di Napoli utilizzava latte di bufala congelato proveniente dall’Est Europa, spacciando il prodotto per mozzarella Dop.
E il pomodoro delle nostre salse? in buona parte viene dalla Cina. Indagini doganali hanno dimostrato che tutto il concentrato importato dalla Cina ha come unica destinazione Napoli e Salerno (dove si trovano più della metà degli impianti di trasformazione italiani). L’import di concentrato cinese è aumentato negli ultimi 10 anni del 272%. E così sono stati sequestrati milioni di barattoli di «San Marzano Dop», falso, destinati al mercato Usa.
Pasta e taralli? Vittime anche loro. Decine di tonnellate di prodotti etichettati con «Qualità e tipicità 100% made in Puglia» o «Prodotta con semola di grano duro della Puglia» sono state sequestrate in provincia di Barletta, Andria e Trani: il grano era extra Ue.
A Palermo si è scoperto che l’intero mercato di Ballarò era rifornito da un maxi macello clandestino: carne controllata dal mandamento di Porta Nuova. A Napoli sono decine i panifici clandestini sequestrati, ma non basta: molto attivo è anche il contrabbando di pesce e addirittura di acqua di mare (inquinata), mentre a Taranto i clan si fanno la guerra per il commercio delle cozze.
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