Visioni

Palmina, l’atroce paradosso di un femminicidio

Palmina, l’atroce paradosso di un femminicidioBarbara Grilli

A teatro Barbara Grilli porta in scena il caso di cronaca nera del 1981 rimasto impunito che ha trasformato la vittima in calunniatrice

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 4 febbraio 2017

L’ennesimo, brutale femminicidio mafioso rimasto impunito. Anzi, un atroce paradosso giudiziario ha trasformato la vittima in calunniatrice. È condannata in contumacia, la 14enne Palmina Martinelli, perché si sarebbe data fuoco da sola, per poi accusare due giovani, dediti allo spaccio di droga e allo sfruttamento della prostituzione.

Invita a ridere della sentenza Barbara Grilli, attrice di questo pezzo di teatro «civile» che caparbiamente torna su un crimine, ora portato al Tribunale di Strasburgo, ma rimosso dalla storia delle comunità pugliese in cui si è consumato, nel 1981. Eh, gli Ottanta, anni di spensierato, e indotto, edonismo, mentre le lotte e le conquiste sociali del decennio precedente si allontanavano, offuscate da nuovi accadimenti che avrebbero segnato il confine tra un prima e un dopo. Non ultima la comparsa del virus dell’Hiv, che di lì a pochissimo avrebbe iniziato a flagellare un’intera generazione.

Inizia, ricreando,  l’humus di quei giorni bui e intristiti dalla frivolezza di canzoncine pop, il monologo di Giovanni Gentile, anche regista di questo Palmina – Amara terra mia (omaggio a Domenico Modugno), con il barese Teatro Prisma, al Tordinona (fino a domani), spazio gestito da Ulisse Benedetti con l’ausilio di Gianluca Riggi e il suo sguardo rivolto a spettacoli di piccole dimensioni ma di grande impegno.

E Palmina rientra in questa categoria di lavori, in cui scioltezza drammaturgica e capacità attorale riescono a soddisfare lo spettatore, che ne esce indignato per l’impossibilità di tornare a giudicare i due presunti assassini, perché assolti in Cassazione con formula piena. Confidando però nella Procura di Brindisi che lo scorso anno, poco dopo il debutto dello spettacolo, ha riaperto i fascicoli. Qui non si cerca l’effetto, si va al cuore dei fatti, con lo spietato realismo della brava narratrice, e fino al frammento di voce agonizzante della ragazzina, registrata da Nicola Magrone, il magistrato che la interrogò e che oggi è sindaco di Modugno e le ha intitolato una piazza.

Nei venti giorni di agonia, con ustioni di secondo e terzo grado sul 70% del corpo, Palmina fa i nomi di Enrico Bernardi e Giovanni Costantini, due fratelli tenutari di un bordello, insieme alla loro madre, Angela Lo Re. La vicenda si consuma a Fasano, paesone di 40mila abitanti che insieme a Ostuni, Martina Franca e Locorotondo disegnava il quadrilatero dell’eroina e della crescita del potere della Sacra corona unita in quella zona. Il contesto è di estremo degrado sociale e culturale.

Se fosse stata figlia di un giudice – diceva Magrone – Palmina avrebbe avuto un giusto processo. Invece, la madre fa la colf a ore e il padre è disoccupato. Hanno undici figli e per badare ai più piccoli Palmina ha smesso di andare a scuola in quarta elementare. Per lei, forse complice la famiglia, è già tutto deciso. Ma la ragazzina si ribella, non farà la prostituta come è già toccato a sua sorella, marchiata su una coscia dai suoi aguzzini. Per questa ribellione è stata bruciata viva, come una strega.

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