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Palestinesi, profughi due volte

Palestinesi, profughi due volte

Siria Intervista a Filippo Grandi, Commissario Generale dell'agenzia Unrwa (Onu): «250 mila rifugiati palestinesi costretti ad abbandonare i loro campi»

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 12 maggio 2013

 

Nell’immenso bagno di sangue della guerra civile in Siria si consumano tragedie che spesso passano inosservate. A cominciare da quella dei palestinesi, molti dei quali sono diventati profughi o sfollati per la seconda volta. Fuggiti o cacciati via dalla loro terra durante le fasi che nel 1948 portarono alla nascita dello Stato di Israele, 65 anni dopo i palestinesi in Siria sono costretti in gran numero a lasciare le loro case sotto la furia dei combattimenti tra Esercito governativo e miliziani ribelli. Ne abbiamo parlato con Filippo Grandi, Commissario Generale dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i rifugiati palestinesi. «Sì, è un dramma nel dramma – sottolinea Grandi -, calcoliamo che su 500 mila profughi palestinesi in Siria almeno 250 mila non vivono più nelle loro case nei campi, a causa dei combattimenti.

Dove fuggono?

Principalmente all’interno della Siria. In parte perchè per loro la fuga attraverso i confini è molto difficile. I palestinesi portano con loro una difficoltà: quella di essere palestinesi. La Giordania ha chiuso le frontiere ai palestinesi che invece ha lasciato aperto ai profughi siriani. I palestinesi hanno poche possibilità di andare in Turchia e l’Iraq non è terra ospitale per loro come ben sappiamo. Per i palestinesi c’è un’unica via d’uscita dalla Siria, ed è il Libano, paese nel quale purtroppo non sono accolti bene. Quindi non resta che lo sfollamento interno presso famiglie (siriane) che li ospitano o altri palestinesi.

 

Cosa sta facendo l’Unrwa per assistere questi palestinesi che diventano profughi una seconda volta?

Cerchiamo prima di tutto di continuare i nostri programmi abituali di aiuto. Lavoriamo da 60 anni in Siria, diamo ai palestinesi istruzione attraverso una rete di scuole, sanità attraverso una rete di ambulatori e assistenza sociale ai più poveri. Oggi tutte queste attività sono molto difficili da portare avanti in Siria. Al momento solo la metà delle scuole sono operative e ogni giorno è un drammatico rischio calcolato decidere se tenere una scuola aperta: c’è il pericolo che sia bombardata da una parte o dall’altra in guerra. Inoltre siamo sempre più costretti a ricorrere ad attività di emergenza: distribuzione di cibo e anche di soldi.  L’economia non c’è più in Siria, le attività produttive sono in buona parte ferme e la gente ha bisogno di soldi per sopravvivere. A tutto ciò dobbiamo aggiungere l’ospitalità che offriamo nelle nostre scuole anche a migliaia di sfollati siriani che non hanno altri posti dove andare.

 

I palestinesi, almeno all’inizio, hanno provato a rimanere fuori dalla guerra civile siriana. Poi cosa è accaduto?

E’ accaduto che il conflitto li ha raggiunti. Un conflitto che ormai occupa ogni angolo della Siria, soprattutto le zone urbane o semiurbane quelle dove vivono i profughi palestinesi: Damasco, Homs ma anche Deraa, Aleppo, la costa. Purtroppo le parti in lotta tentano di coinvolgere i palestinesi. Noi dell’Unrwa abbiamo vigorosamente protestato e riaffermato l’importanza che i palestinesi siano tenuti fuori perchè questo popolo ha già una storia di coinvolgimento in conflitti di altri che poi si sono rivelati catastrofici, per tutti. Un esempio è il Libano. Dobbiamo quindi riconoscere l’importanza delle parole del presidente Abu Mazen che ha sottolineato l’importanza della neutralità dei palestinesi ed esortato le parti in guerra a rispettarla.

La situazione appare difficile soprattuttto per i palestinesi che vivono nei campi di Yarmouk e Khan el Sheeh.

Questi sono campi che si trovano nell’area urbana di Damasco, che è tra le più devastate dall’impatto del conflitto. Tuttavia sono rare ormai le zone abitate da profughi palestinesi estranee alle battaglie in corso. A nord, i campi vicini ad Aleppo sono stati teatro di combattimenti violentissimi perchè sono situati nei pressi dell’aeroporto.

Cosa pensa dell’intesa raggiunta in linea di principio da Usa e Russia per una soluzione  negoziata della guerra civile siriana?

Non farei il lavoro che faccio da quasi trent’anni in mezzo a crisi e conflitti se non fossi di natura un ottimista. Quindi leggo quell’intesa in modo positivo. Il linguaggio delle parti in lotta per la prima volta da molto tempo a questa parte ci induce ad un cauto ottimismo. Allo stesso tempo sono consapevole che esistono delle differenze, al momento ampie, a proposito dell’inevitabile transizione politica sulla quale dovranno raggiungere un accordo le varie parti. Come responsabile di un’agenzia umanitaria dell’Onu tra le più coinvolte, mi auguro che si abbia un pensiero per le sofferenze inaudite della popolazione siriana e dei palestinesi che sono stati generosamente ospitati per decenni dalla Siria. Sofferenze che stanno arrivando a livelli insostenibili.

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