Critico musicale per un giorno, fu Stalin in persona a stroncare sulla Pravda del 28 gennaio 1936 la Lady Macbeth di Šostakovic. Il caos anziché la musica, titolava l’anonimo recensore: bandita l’opera, «inadatta al popolo sovietico», al dittatore restava il terrore di morire avvelenato come il re scespiriano. Eppure proprio a Šostakovic sarebbe stata commissionata cinque anni dopo la sinfonia in onore a Leningrado: inno alla vittoria sul nazismo per i gerarchi sovietici, messaggio universale contro ogni oppressione per il compositore che dormiva con la valigia accanto per timore dell’arresto. Il soft-power al tempo dei gulag, paradosso ancora oggi eloquente sul rapporto tra arte e potere.

Ma c’è anche un esercito di artisti dissidenti, formato dai quattromila che prima dell’attacco avevano sottoscritto l’appello intitolato Se solo non ci fosse guerra!; da Valery Panyushkin e Alexandra Zhitinskaya, autori della lettera musicale Sole Nero pubblicata sul sito della Novaya Gazeta; dagli esuli raccontati nel documentario Tracks: Nikita Sass, gli IC3PEAK, i rapper Face e Oxxxymiron.

La musica è innanzitutto storia emotiva, narrazione trasversale dai balconi del lockdown alle macerie di Kiev e Mariupol tra le quali tanti musicisti ucraini hanno provato a lanciare messaggi di resistenza via web: sui social silenziati da Putin e esaltati da Zelensky corre la linea espressiva dell’attuale conflitto, un upgrade per gli stessi musicisti schierati sulle opposte fazioni. Non una metafora, questa, considerando i molti artisti giunti al fronte. Andriy Khlyvnyuk dei BoomBox era stato il primo, annunciando l’arruolamento con un video su Instagram in cui, fucile ben in vista, intonava un canto patriottico del 1914. Catena virale continuata dagli Antytila, che pochi anni fa giravano videoclip con un Zelensky ancora attore e oggi ricevono l’endorsement di Ed Sheeran. Altri, come Sasha Boole e Ivan Kozakevych, fanno ora «tesoro» dell’addestramento militare compiuto in tempi non sospetti. Per loro la musica non è più arte astratta, ma gesto pienamente politico.

È COSÌ anche sull’altro fronte. Lo sa bene il pianista Boris Berezovsky, che aveva invocato «maggior rigore con gli ucraini», richiesta tragicamente soddisfatta. Lo sanno bene il soprano Anna Netrebko, putiniana doc fin dall’occupazione della Crimea nel 2014 salvo poi nelle ultime settimane correggere il tiro, e il famigerato Valerij Gergiev ripudiato dalla Scala per il silenzio-assenso sulla guerra in corso. Qualcuno lo ricorderà dirigere la sua World Orchestra for Peace (sic) nell’agosto del 2008, tra le macerie di Tskhinvali in Ossezia: sul leggio, proprio la Sinfonia Leningrado di Šostakovic. Allo stadio Luzniki con Putin c’erani anche artisti pop come Nikolai Rastorguev, deputato della Duma tra le fila di Russia Unita, Polina Gagarina — ex coach di Golos (versiona russa di The Voice) — e Oleg Gazmanov che, per non esser frainteso, ha pensato bene di cantare un brano sugli ufficiali russi.
Ma c’è anche un esercito di artisti dissidenti, formato dai quattromila che prima dell’attacco avevano sottoscritto l’appello intitolato Se solo non ci fosse guerra!; da Valery Panyushkin e Alexandra Zhitinskaya, autori della lettera musicale Sole Nero pubblicata sul sito della Novaya Gazeta; dagli esuli raccontati nel documentario Tracks: Nikita Sass, gli IC3PEAK, i rapper Face e Oxxxymiron.

PROPRIO dai rapper arrivano alcune delle prese di posizione più chiare. Il polacco Cypis ha sferrato l’attacco con un singolo intitolato Putin («Verrà il giorno in cui saremo accusati di bombe, bugie e spargimenti di sangue / E solo tu ne sarai responsabile») mentre il francese Booba ha virato prontamente dal no-vax al pro-war. In Italia abbiamo imparato a conoscere Vyacheslav Yermak, in arte Slava, bresciano nato a Kharkiv, i cui profili social hanno diffuso le immagini inviate dai suoi familiari in Ucraina. Sempre dal web partono le sanzioni musicali delle piattaforme streaming e i social rally come il recente Stand Up for Ukraine, che ha visto anche i Måneskin unirsi alla vecchia guardia del rock impegnato. La causa è tale da spingere Julian Lennon a spezzare il voto di intoccabilità per Imagine, mentre i Pink Floyd (leggasi Gilmour e Mason) addirittura si riuniscono dopo ventotto anni, con l’instant song Hey Hey Rise Up ispirata proprio dal video di Khlyvnyuk.

LUI È ANCORA sul fronte, così come Kozakevych e Boole dai cui post, fino a pochi giorni fa, sgorgava inderogabile ottimismo: «Quando la guerra sarà finita, la nostra vittoria darà slancio a tutte le arti e alla musica». Aggiunge Boole: «Non mi manca la musica. Mi manca la pace. Quando la ritroveremo, si tornerà a pensare alla musica». Qualcuno titolerà La musica anziché il caos.