Palazzo Barberini, è tutta una questione di occhi seduttivi
Mostre «L’ora dello spettatore. Come le immagini ci usano», fino al 5 aprile
Mostre «L’ora dello spettatore. Come le immagini ci usano», fino al 5 aprile
Per Marcel Duchamp la sottile liaison di amorosi sensi fra opera d’arte e spettatore non è altro che un transfert, un gioco di specchi, di reinvenzioni, passaggi di ruolo che, alla fine, induce un atto creativo anche in chi guarda. Un atto quasi medianico. È per questo motivo che la mostra L’ora dello spettatore. Come le immagini ci usano ha insito in sé il germe della seduzione, anche quando sfodera le istanze della «indifferenza» (uno dei capitoli in cui si snoda l’esposizione). A cura di Michele Di Monte, visitabile fino al 5 aprile, la rassegna è una immersione interattiva «fuori cornice» in cui immaginario protagonista dell’opera e visitatore in carne e ossa si fronteggiano, in una relazione che sala dopo sala evidenzia tutta la sua ambiguità.
L’ora dello spettatore esplora, infatti, in una carrellata mozzafiato di venticinque dipinti (in gran parte provenienti dalle collezioni delle Gallerie Nazionali di Barberini e Corsini e da istituzioni italiane o europee (fra cui la National Gallery di Londra, il Museo del Prado di Madrid, il Rijksmuseum di Amsterdam, la Galleria degli Uffizi di Firenze), quell’alchemico «osservarsi l’un l’altro» messo in scena spesso nell’estetica della pittura tra Cinquecento e Settecento. L’itinerario che prevede i due soggetti (di finzione e reale) in un atteggiamento di studio reciproco non può che iniziare sulla «Soglia», con la teatrale e bellissima Ragazza in una cornice di Rembrandt (che in genere se ne sta «affacciata» nel Castello Reale di Varsavia).
Non manca il capitolo della complicità, dove chi osserva è chiamato in causa direttamente, in non senza imbarazzo e non si può tirare indietro. In Giuditta e Oloferne di Johann Liss (1622) l’assassinio è già compiuto, la testa recisa (il collo sanguinante è in primissimo piano) ma la donna che agisce si rivolge con fare ammiccante a chi sta guardando la scena e in questa atmosfera spregiudicata lo lega a sé, lo rende partecipe di un terribile segreto. Ogni pittura, in fondo, è anche una conversazione imbastita virtualmente con qualcuno che, in modo implicito ma dalla prima ora, sarà al cospetto di quel «palcoscenico visivo», partecipe di uno spazio condiviso anche solo per pochi minuti e pure se affetto da distrazione cronica.
La mostra – che presenta alcuni capolavori, tra cui Simon Vouet, Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Guercino, Memling – è anche una piacevole «lettura» delle collezioni, con immagini raggruppate per sezioni tematiche che conferiscono un senso in soggettiva all’allestimento della pinacoteca, ai suoi tesori e a quelli in prestito. Un palinsesto museale di sguardi.
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