Cultura

Pagliarani o le parole che non stanno nella propria pelle

Pagliarani o le parole che non stanno nella propria pelleElio Pagliarani – foto di Nadia Cavalera

Scaffale Con memoria rigorosa Cetta Petrollo ricostruisce in «Margutta 70» (edizioni Zona contemporanea) una stagione creativa collettiva. Il rosso dominava, l’epoca e la casa: «dai versi di Elio alla pasta cucinata da Valentino Zeichen»

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 25 settembre 2019

È una memoria rigorosa, pulita, Margutta 70 (edizioni Zona contemporanea, pp. 137, euro 19) quella che permette a Cetta Petrollo di trovare la strategia per parlare anche di sé, delle sue incomprensioni di un’epoca che la travolgeva, della cogenza di stare spesso, come precaria sociale, in minoranza nel sistema della scuola, sballottata tra poteri amministrativi meschini e ribellioni annunciate quanto improbabili. Ma soprattutto il testo è come un tratto di esistenza nel quale, insieme alla propria esperienza, traspaiono dentro il minimale quotidiano, i giorni e le opere di Elio Pagliarani, il suo compagno di vita.

UNA ESPERIENZA vissuta in un’isola quasi sconosciuta di Roma, Via Margutta 51. Diciamo isola, perché dalla «strada dei pittori» si entrava in un vasto acciottolato misterioso, un vero e proprio bosco.giardino che all’improvviso si apriva alla vista, proprio alle pendici del Pincio. Tutto intorno studi d’arte dai soffitti altissimi dalle vaste vetrate risplendenti. Per salire da lui bisognava fare una scalinata laterale interna coperta da un pergolato di rampicanti, fra i tetti e tanti alberi di nespole. E un mondo di gatti dormienti. Solo più tardi ho scoperto che quella era una delle location del famoso film americano Vacanze romane – ma Cetta Petrollo lo sa..? Difficile dimenticare quella casa, fuori e dentro umbratile e soppalcata di legno, catturata da un’atmosfera mediterranea, con alberi, giardini, balconcini, voci. Come quelle di ragazzina che arrivavano dall’interno, sullo sfondo: quelle della figlia Lia destinataria poi del Pro-memoria del poeta.

Anche noi andavamo a Via Margutta 51 per incontrare a metà degli anni Settanta Elio Pagliarani. Appena assassinato Pasolini – sul cui legame mancato Pagliarani esprimerà a posteriori una sorta di drammatico rammarico, come ricordò Enzo Golino – e fisicamente, solo fisicamente, lontani protagonisti della presa di parola poetica che non potevamo che sentire invece vicinissimi come Fortini, Roversi e Volponi, la prossimità romana di Elio Pagliarani e la notizia dei suoi tentativi di allestire laboratori di poesia ci vedeva subito pronti e partecipi. Erano già nati a Roma i due preziosi quaderni di Pubblico e Privato, esperienze di anni di lavoro poetico partite dal ‘68 e di letture in pubblico che sarebbero sfociati, con mille ambiguità, nella vicenda di Castelporziano, il primo festival internazionale di poesia, l’Ostia dei poeti, lì dove Pier Paolo era stato ucciso. Andarlo a trovare era una sfida necessaria: il «Paglia» ai nostri occhi, conosciuto per l’antologia I Novissimi, teneva con azzardo insieme nei versi l’esperienza della tradizione e quella dell’avanguardia: La ragazza Carla, Lezione di fisica e Fecaloro questo volevano dire, poi sarebbe arrivata la Ballata di Rudi a confermarlo.

UNA ATTITUDINE all’azzardo e alla conoscenza che Cetta Petrollo racconta in un attacco memorabile sull’epoca: «Come vivevano i poeti giovani e meno giovani? Sembrava che nessuno avesse necessità né ansia di programmare il futuro. I lavori erano precari ma nessuno se ne preoccupava. I poeti potevano, un giorno, fare le comparse a Cinecittà, un altro ancora gli autisti…; alcuni campavano, letteralmente campavano vendendo quaderni di manoscritti o traducendo…». Tutti o quasi spesso ospiti di Via Margutta, dove pure andava in onda la vita a due (e poi a tre) tra Cetta ed Elio. Pagliarani ti accoglieva furbo e impensierito, con occhioni vigili dietro le spesse lenti degli occhiali e il fumo ininterrotto che proveniva dalla pipa di schiuma giallo-bianca che aveva eternamente in mano o in bocca in quella straordinaria casa romana alla quale si accedeva da Via Margutta.

Quelli del manifesto Elio li incontrava da Cesaretto, la trattoria spartano-anarchica di Via della Croce, ma con lui era un Rosso corpo lingua, un «corpo a corpo» sulla poesia e sui poeti dei quali voleva sapere tutto. Pure il rosso dominava, l’epoca e la casa: «Le bandiere hanno accompagnato e come foderato gli anni di Via Margutta. – scrive Cetta Petrollo – Rossi erano i versi di Elio, rossa la copertina orizzontale di Lezione di fisica, molto rosso di varie sfumature nelle edizioni della Cooperativa scrittori, colori rossi per la rivista Periodo ipotetico, con varie gradazioni le persone che frequentavamo…rossa la pastasciutta cucinata da Valentino Zeichen….».

ERA UN’ACCOGLIENZA «socialista», un «galateo» proletario del primo socialismo, che Elio amava, fin nello stare insieme in comune e in una «trascuranza» affettiva, nella pratica del mangiare insieme, nella socializzazione minima «dell’acquisto delle verdure colorate al mercato», nelle vacanze «aperte» a Procida. Del resto «come chiamare questa stagione fra la metà degli anni Settanta e i primi anni Novanta – scrive Cetta Petrollo – se non la stagione delle parole collettive? Tutto era collettivo: collettivo lo studio, collettiva la progettazione del lavoro, collettivi i tentativi per una editoria diversa, collettivo il processo creativo che veniva sottoposto alla riflessione del gruppo…».

Concluderemmo sia rimandando allo straordinario lavoro di cura di Andrea Cortellessa per l’edizione completa delle opere complete di Pagliarani, sia con le parole della preziosa post-fazione a Margutta 70 di Sara Ventroni : oltre alla mancanza dell’azzardo e del rosso «oggi manca un concreto senso del tu (dell’altro che ci sta accanto, tocca sentire il fiato, come di uno spettatore di teatro) ma soprattutto il noi (il noi-due, ma anche il noi-Noi) i pronomi che la poesia preferisce; perché se la parola è viva non sta nella propria pelle…».

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