Padri e figli a confronto in un tempo così insicuro
È sempre difficile dire da dove arrivino le storie. E quale sia il punto in cui decidi di dedicarti a una di esse. La scrittura inizia lentamente dentro di me. Per questo romanzo (Figlio di papà, edito da Bottega Errante, ndr), ho l’impressione che sia durata anni. Ad un certo punto, è stato necessario scriverla. Ora sono già trascorsi diversi anni. Al tempo mi sembrava importante raccontare qualcosa legato al rapporto tra padre e figlio. Forse anche la vita mi stava offrendo questo spicchio visuale, lo sentivo. E sapevo che i capitoli sarebbero stati brevi, una raffica, in prima persona, al presente. Le situazioni con i padri sono spesso così, chiaramente determinate. L’evento di partenza sarebbe stato la malattia di un padre che desidera stabilire un rapporto con il figlio. E questo è stato l’ingresso dentro la finzione. Detto così sembra che tutto sia filato liscio, ma io so che è andata diversamente: so che ho scritto questo romanzo in un appartamento, in uno scantinato e in un bar che durante il giorno era vuoto, a parte saltuarie visite di un gruppo di ciclisti. E so che durante la scrittura io stesso lavoravo sul mio rapporto con mio padre. Forse un po’ per il senso di colpa, e forse per raccogliere dell’altro materiale. Difficile a dirsi.
IL ROMANZO è uscito nell’autunno del 2020 in un mondo completamente diverso. A lungo è rimasto a galla, ricevendo critiche varie, per quasi sei mesi ha atteso la prima presentazione e alla fine poterono esserci solo una decina di persone. Molto rapidamente, però, è stato chiaro che il romanzo stava raggiungendo il suo pubblico: che le persone reagivano emotivamente, qui e là mi scrivevano un messaggio su Instagram e la prima tiratura esaurì presto. Era un tempo insolito, pieno di insicurezze. Più tardi, con le traduzioni, il romanzo ha trovato anche la sua ricezione critica adeguata ed ecco, ora viaggia per l’Europa. Devo dire che il mondo è molto cambiato negli ultimi dieci anni, ovunque e anche in Croazia. Penso che questo libro e il suo successo non sarebbero stati possibili se la comunità queer non si fosse emancipata, se non avesse lottato per una serie di diritti, sebbene la lotta non sia affatto finita. E cosa più importante di tutte, se non avesse lottato per il suo spazio nella corrente artistica principale. Grazie all’impegno degli attivisti e delle generazioni prima della nostra, noi ora possiamo scrivere anche delle ingiustizie e della violenza che abbiamo subito strada facendo.
È UNA PROSPETTIVA sul mondo. L’omofobia, che echeggia nell’esperienza del protagonista, è solo una parte di un’intera palette di odio, desiderio di escludere e di concedere che all’insofferenza si risponda con la violenza. Ciascuno di noi intesse la sua storia alle altre, riconosciamo che le nostre esperienze personali sono parte di una storia collettiva. L’odio purtroppo esiste ugualmente nei contesti piccoli e grandi, nelle città però è più semplice trovare la propria famiglia scelta, uno spazio sicuro di protezione. Dobbiamo adoperarci perché ciascuno possa vivere là dove è più felice senza nascondersi e senza avere paura. E dobbiamo anche appuntarci i successi, vedere fino a che punto il cambiamento è possibile.
*L’autore ha pubblicato l’ultimo romanzo Figlio di papà da Bottega Errante. Presenterà il suo libro al festival Vicino/Lontano di Udine – che ha come tema «Popoli sotto assedio» – questa domenica 12 ed è fra gli scrittori di punta della letteratura est-europea al Salone (dove è stato ospite ieri mattina).
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